Il Cartografo è uno dei due racconti che facevano parte di Incunaboli Futuri, l’altro è Bassa Realtà. Ora che i diritti d’autore sono di nuovo in mio possesso lo pubblico qui, in due parti. Proprio in occasione di Pontida e delle “pretese” della Lega. Leggendolo ne scoprirete il perché.
Sono storie di cui Maria Rosa Cutrufelli, nella prefazione al libro, aveva scritto queste parole:
Hanno una sorprendente capacità, questi due racconti di Daniela Frascati: la capacità di inventare metafore adeguate al nostro tempo e di narrarci, attraverso queste metafore, il 'grande disordine' contemporaneo, la confusione di un mondo in bilico tra il reale e il virtuale, il desiderio di sovrapporre l'immagine della realtà alla realtà, fino a farle coincidere.
Chi è Tebaldo Percato, questo personaggio eccentrico che nel primo racconto chiede al cartografo Scorpiade di dare nome (e quindi esistenza) alla Nazione dei suoi sogni, la Napadia? Un visionario, un politico ambizioso o semplicemente un uomo che crede alla forza della sua utopia (perniciosa) tanto da renderla viva e operante?
Ma quando la riduzione del mondo alla sua immagine è compiuta (ed è Scorpiade a fare il miracolo), ecco il sogno entrare in collisione con la realtà. E tutto precipita in un vortice in cui galleggiano "milioni e milioni di donne e uomini" che non sanno più "dove aggrappare le loro vite".
IL CARTOGRAFO
di
Daniela Frascati
(Prima parte)
La costruzione era una struttura circolare, fatta di una sostanza terrosa che pareva racchiudere la potenza creatrice e oscura della materia. Una gigantesca cupola la sormontava. Eppure, qualcosa d’incongruo, una sorta di polvere sottile come cenere ne corrompeva la grandezza.
Ciò che impressionò il viaggiatore fu la luce chiarugginosa che avvolgeva l’edificio. Finestroni, con vetri giallo sacrestia, correvano tutto intorno, ma non era da lì che originava l’albore.
Con circospezione l’uomo avanzò nell’emiciclo antistante. I suoi passi rimbombavano come colpi sordi nel silenzio assoluto. Sollevò la testa verso l’altissimo architrave che sormontava la facciata per leggerne l’iscrizione: BIBLIOTECA DI GRAVILONA e più sotto QUAEDAM FALSA VERI SPECIEM FERUNT1
Certo di essere arrivato nel luogo giusto si fece avanti fino al massiccio portale di legno.
Dentro, un andito scuro e umido conduceva a uno smisurato salone tappezzato di scaffali interminabili, interrotti qua e là, a un’altezza che dava le vertigini, dai finestroni che si vedevano da fuori, in corrispondenza del primo piano.
Gli scaffali percorrevano l’edificio in ogni direzione, descrivendo strade e slarghi, in una geometria strabiliante e sfalsata fatta di angoli vuoti e di rientranze improvvise che non portavano che all’altra faccia della scaffalatura e, tutto quel percorso chilometrico, era tempestato di dorsi di volumi, tomi, libri, atlanti, fascicoli, incunaboli.
Il viaggiatore, che con i libri e la parola scritta aveva poca confidenza, rimase per un attimo sconcertato poi, tornato in sé, riprese possesso dell’idea che l’aveva condotto lì e continuò la sua ricerca.
La luce, in quei cunicoli, procedeva a sbalzi dilatandosi, quasi a ferire la vista, negli slarghi dove ampi tavoli ingombri di volumi erano predisposti alla lettura e alla consultazione, affievolendosi, fino a farsi ingoiare dal buio, negli stretti corridoi e negli alveoli incavati nelle pareti. Con un certo sforzo riuscì finalmente a scorgere in fondo a un lungo passaggio, proprio nella piazzola che si apriva di fronte ai volumi sulle Eresie nel corso dei secoli, colui per il quale aveva vagabondato per chilometri e chilometri in quelle terre oramai abbandonate da dio e dagli uomini.
Scorpiade lavorava con grande lena. L'ampio tavolo era sommerso da carte geografiche, atlanti, pergamene preziose e antiche rappresentazioni del mondo. Appunti sparpagliati ovunque. Segni tracciati su pezzetti di carta che al più piccolo movimento si mescolavano, avvicinati da quell'effetto invisibile delle molecole che, sospinte da polarità differenti, si cercano tra loro.
Del resto, una volta che aveva tratteggiato con la matita i contorni di un territorio, i suoi dislivelli o gradi di altitudine, Scorpiade lasciava che l'appunto venisse fagocitato dalla sterminata quantità di carta da cui era eternamente circondato, poiché, per un'eccezionale dote della memoria, poteva, a suo piacimento, rintracciarne l'impianto nell'archivio straordinario che aveva messo a punto nella sua testa e, da lì, richiamarlo in qualsiasi momento e trascriverlo su una mappa, completo di ogni particolare che fosse utile per una corretta interpretazione.
Tutti quei fogli erano dunque minuziosamente percorsi da segni che significavano altro. Il più delle volte ne eludevano, necessariamente, la dimensione e la grandezza e, forzatamente, il grado di veridicità. La realtà per Scorpiade, in quanto forma rarefatta ma vacua del pensiero, finiva spesso in un eccesso di presenza che poteva impedire ogni possibilità di lettura della carta. Per questo interveniva con innesti, collegamenti e rimandi che costruivano una complessità talmente prossima alle ricerche sulle proprietà a-scalari di Mandelbrot sulla geometria frattale, che facevano di lui non solo un cartografo di grande esperienza ma uno studioso e un ricercatore geniale. La sua passione era la continuità e la contiguità che sapeva a rintracciare tra l'eccessivamente materico e persistente, come una catena montuosa o una foresta pluviale, e la sua rappresentazione grafica, minuti segni convenzionali che, nella loro astratta semplicità, potevano descrivere le strutture enormemente più complesse di cui erano il fondamento.
Pur non allontanandosi mai dall'assioma per cui una carta offre un ritratto rimpicciolito ma sempre riconoscibile del mondo reale, possedeva quella speciale leggerezza con cui riusciva a svincolare i territori che rappresentava nelle sue mappe, dall'asservimento dello spazio dove erano imprigionati da che esisteva il mondo e dove sarebbero rimasti confinati per sempre se non fosse intervenuto lui, con la sua azione affrancatrice.
Quell'uomo accurato e meticoloso entrava direttamente nel tempo e, allora, un luogo non era soltanto un'estensione spaziale della percezione dell'occhio ma, soprattutto, uno spessore temporale di eventi che lì si erano sovrapposti.
Pareva che Scorpiade possedesse la facoltà di evocare con il suo tratto sottile e fermo territori e lande lontane, terre misteriose e nascoste che vivevano nella geografia recondita della memoria e scioglierle dall'assoggettamento del ricordo, poiché come afferma Woolbridge, " il suolo e non la carta...è il primo documento " e la ricerca del cartografo consiste proprio nel tentativo di colmare questo scarto.
La sua sorprendente abilità l'attribuiva all'insegnamento, cui non era mai venuto meno, del vecchio maestro, Margal Lupita che, fin dalle prime escursioni sul campo, l'aveva abituato ad abbozzare su frammenti di carta, dati e proiezioni da confrontare, sezione per sezione, con le vecchie carte dell'area sottoposta a rilevamento, poiché è l'occhio che vede e che confronta il fondamento di ogni cartografia possibile. La comparazione era, dunque, il solo sistema per sfuggire il rischio di un modello che ordinasse il mondo secondo un pensiero forte e unico, ed era questa la ragione per cui Scorpiade si muoveva perennemente in mezzo a vortici di appunti, carte, mappe, che gli conferivano un che di geniale e di bizzarro. Non voleva azzardare. Affidandosi alla sua straordinaria e meticolosa memoria aveva paura di redigere mappe che affondavano in ricordi troppo contigui con l'emozione di un odore o di una luminosità particolare e il tempo, inoltre, poteva aver condensato certezze dove non doveva esserci che passione per la ricerca e la sperimentazione. I suoi appunti svolazzanti diventavano quindi la materia empirica attraverso la quale metteva in pratica la sua personale teoria della relatività.
La cosa che più sorprendeva in lui, era l'abilità prodigiosa con cui trattava la materia e l'accortezza con la quale riusciva a farlo. Per questo, ciò che nel suo aspetto conquistava immediatamente l'attenzione, erano le mani; di un pallore evanescente, quasi immateriali nella loro leggerezza. Era una meraviglia vederle al lavoro agili e irrequiete; solo allora, ci si rendeva conto come l'arte, di cui sembrava naturalmente dotato, fosse invece il frutto di un addestramento costante e accanito.
Quelle mani fluide e insinuanti come un alito di ponentino, asciutte e brucianti come una folata di vento del deserto e che teneva in costante allenamento, facendo girare e rigirare tra le dita e il palmo tre biglie di rame con inusitata maestria, correvano, bianche e febbrili, da un capo all'altro della grande cartapergamena, l'opera omnia, cui Scorpiade lavorava da anni: la Carta Monadica Totale, così gli piaceva chiamarla. Un corpo unico che, attraverso una raffinatissima tecnica, utilizzava porzioni di territori, come fossero mosaici di aree locali perfettamente combacianti tra loro, ma che potevano facilmente essere trasformate in sub-aree, di più facile manipolazione, tali da essere utilizzate come infrastrutture, modalità sistemiche della carta. A prima vista sembrava di avere sotto gli occhi un reticolo dove ogni quadratino o monade era confine e limite per sé e per ogni altro quadratino, ma, allo stesso tempo, era sconfinamento e proseguimento dell'altro, e dell'altro ancora, in un gioco di intersecazioni e percorrimenti che alteravano la percezione al punto che, la Mappa , pareva improvvisamente animarsi come uno strano essere tentacolare e perfino Scorpiade faceva fatica a stenderla sul pavimento della casa e a trattenervela. Pianure illimitate, fiumi impetuosi, prendevano forma come se, le sue mani, possedessero lo straordinario dono di mutare l'irrefrenabile energia da cui erano dominate in sostanza.
Una materia duttile plasmava il mondo e lo riconduceva all'essenzialità planimetrica della Carta Monadica Totale, frutto di tutte le sue conoscenze e sperimentazioni, e somma delle esperienze e delle teorie di tutti i cartografi che fino ad allora si erano provati a rappresentare il mondo nella sua interezza e globalità.
Conquistando territori e spazi, giorno dopo giorno, ora dopo ora, le mani preziose di quell'uomo si accanivano nel mettere assieme segni, colori, sfumature, viaggiando tra il segno e la cosa con rara maestria e accortezza. Erano lo squarcio di memoria che illuminava improvviso la strada di campagna dove una donna, persa nei suoi pensieri, in quel paesaggio a perdita d’occhio, procedeva con calma e con mollezza. Fu in quel punto, in un tempo che andava via alla deriva, segnato da un intorbidamento del segno sulla carta, che uno sconosciuto l'aveva aggredita.
Lì, su quel viottolo appena tracciato, seminascosto tra rovi di more e di lupino bianco, proprio sul ciglio dove la polvere della strada si confonde con il terriccio ferroso dei campi di pannocchie, l'umore greve di quell'amplesso e le lacrime salate della donna avevano formato un grumo talmente denso che, per quanto Scorpiade volesse, sfuggiva ogni volta al suo tentativo di emendarlo così che, di fronte alla carta, ognuno poteva sentire sulla propria pelle l'efferatezza di quel gesto e il dolore cupo che alla donna aveva spezzato il cuore.
Scorpiade, nel preciso istante in cui stendeva la sua Carta Totale, traversava il mondo e lo rinominava ogni volta, poiché, ogni volta, i luoghi erano altri da prima. Diceva il notiziario che quella mattina in un fiume che si chiamava Ombroso, un giovane, preda di un patimento forte di solitudine e di amore capovolto, aveva cercato la morte. Le mani di Scorpiade, quasi alla cieca, lo rintracciavano immediatamente sopra la vasta superficie; sottile filo azzurrognolo sul giallo terroso di una isoipsa. Lì, quel patimento irrimediabile, aveva rotto il fluire pacato del fiume e ora provocava un salto impetuoso della corrente che schiumava in una ripida cateratta di sasso calcareo, sotto il sole impietoso d’aprile.
Scorpiade aveva trovato la soluzione all'unico problema da sempre insolubile per il geografo, rappresentare, contemporaneamente, la continuità spaziale e temporale senza sacrificare alcun particolare del territorio esaminato, né ridurre l'osservazione a una breve serie di dettagli temporali parziali. Lui era riuscito a ricomporre la frequenza e la correlazione spaziale, in più, incorporandovi la dimensione sotterranea della stratificazione di un evento nel tempo ma, ora, ogni momento della sua giornata era ossessionato dalla necessità di continui adeguamenti. Registrava con puntiglio ogni mutamento o evoluzione del terreno nella sua mappa così che, i territori di quel mondo fatto di strati e di memorie, diventano sempre più smisurati e finivano per usurpare ogni spazio disponibile e non c'era più posto, intorno a lui, che potesse contenerli.
Già i fratelli e la vecchia madre, i vicini, e piano piano tutti gli abitanti di Gravilona, erano dovuti fuggire via, incalzati in una migrazione forzata da quell'accrescimento virtuale che intaccava, sgretolava letteralmente il terreno sotto i loro piedi e, il povero Scorpiade, cominciava a sentire il fiato gelato di una solitudine divorata da suo lavorio sfrenato.
La biblioteca, edificio misterioso, di cui nessuno aveva memoria e che, si diceva, fosse stato costruito in una sola notte, era l’unico posto, in quella città, capace di resistere al dissipamento che la stesura della Carta Monadica Totale provocava. Unico luogo che, fino ad allora, era stato risparmiato dalla corrosione cui era soggetto il mondo intorno a Scorpiade. Il solo spazio che poteva ormai abitare e che sembrava difenderlo dalla disperata forzatura che lo costringeva a disegnare planimetrie e carte geografiche.
Quel giorno, mentre cercava di ricostruire i confini di una enclave cancellata dal sangue di una guerra lampo e che doveva essere reintegrata al più presto, poiché i sopravvissuti vagavano su quella terra affamati e storditi dalla nostalgia con nuovi nati e qualche vecchio preservato per tramandare la memoria, un uomo che non aveva mai visto prima si fece avanti traversando l’immensa biblioteca.
Lo sconosciuto, appena gli fu di fronte, ignorando ogni più elementare norma di buona educazione, iniziò, assai confusamente, a parlare di un bizzarro quanto fumoso progetto che sembrava governare i suoi pensieri come un’ossessione e, solo dopo una buona mezz'ora, gli venne in mente di presentarsi a Scorpiade come certo Tebaldo Percato, Fondatore Reggente del Libero Stato di Napadia. Quella rivelazione assolutamente imprevedibile, lo sconvolse a tal punto che il sangue gli salì agli occhi e le sue carte assunsero per un po’ una sgradevole velatura rossastra.
Superato questo primo ma non irrilevante impatto con il visitatore, Scorpiade cercò di capire cosa volesse da lui quel tipo che in modo febbrile ed enfatico parlava della Libera Nazione di Napadia e della necessità che, finalmente, il suo popolo potesse vederla rappresentata, come avviene per ogni Nazione che si rispetti, su di un Atlante geografico.
Tebaldo Percato spiegava con impeto, fin nei minimi dettagli, che tipo di mappa voleva da lui, tirando fuori da una gigantesca borsa di tela un voluminoso album di fotografie, alcune in bianco e nero, dai contorni incerti e sbiadite dal tempo, che raffiguravano monumenti, antichi palazzi nobiliari, oppure campagne assolate disseminate di macchie scure che, a uno sguardo più attento, si riconoscevano come animali al pascolo. Le foto più recenti, dai colori vividi e smaltati che luccicavano sotto le lampade a neon, erano quasi tutte riprese di palazzi modernissimi, dalle architetture audaci e innovative, o prospettive di strade dove si affacciavano opulente vetrine che suggerivano una città prospera di commerci e di scambi.
Scorpiade le guardò con attenzione, rigirandole più volte tra le mani; di certe ne ritrovò immediatamente la traccia nella memoria, ma la loro rispondenza geografica non era conforme assolutamente a quella presunta Nazione, la Napadia , della quale, con sconcerto, Scorpiade non ricordava nulla, neppure i colori della bandiera. Solo molto più tardi, quando già la considerazione che aveva del suo lavoro e dei suoi studi cominciava a vacillare, Tebaldo Percato chiarì l'equivoco in cui l'aveva fatto cadere: la Napadia non esisteva, non c'era e non c'era mai stata fino ad allora, ma viveva invece nel cuore e nella mente di quell'uomo appassionato ed esuberante e, a sentir lui, era nei desideri e nella determinazione di migliaia di uomini e di donne che vivevano in una vasta plaga fertile e brumosa.
Risultò del tutto inutile cercare di far comprendere a quello strano personaggio che, né la geografia, e tanto meno la cartografia, erano discipline di cui si potesse abusare, usandole a proprio piacimento per soddisfare il capriccio o la vanteria di qualcuno.
La cartografia era una scienza che poteva partire da certezze e generare ipotesi o partire da ipotesi e generare certezze, ma certamente non poteva fondarsi sul nulla.
- Vede, Signor Percato, quello che lei mi sta chiedendo è decisamente contro natura. Come può controllare lei stesso, da nessuna parte quel territorio è mai esistito! - e Scorpiade sparpagliò con un certo impeto e malcelata irritazione un mucchio incredibile di mappe e atlanti sotto lo sguardo imperturbabile di Tebaldo Percato.
- Va bene, va bene, ma non se ne preoccupi, vorrà dire che, se non c'è da nessuna parte, la disegnerà lei ora, qui, per me. Eh, se no, troppo facile sarebbe! Che sarei venuto a fare, se già fosse esistita una carta geografica del Libero Stato di Napadia? Mica sono scemo, caro il mio cartografo, a me non è riuscito a fermarmi nessuno fino ad ora, e sì che ci hanno provato in tanti! Non ci si vorrà mettere anche lei, per caso? Io sono pronto a tutto, sa?! Perché vede, se lei non mi disegna questa carta, con i suoi bei confini, precisi e al posto giusto, non posso neanche aprire sedi diplomatiche e consolati! Lei lo sa questo? Quindi, spero si renda conto di quale alto compito è stato investito.
Scorpiade si tormentava le delicatissime mani mentre una stretta acida alla bocca dello stomaco gli dava il segno che il suo flemmatico equilibrio era lì, lì. per saltare. Cercando, in un ultimo tentativo, di far ragionare quell'assurdo personaggio che forse, come accadeva a molti pazzi, voleva soltanto arrogarsi del titolo di Reggente, si provò di nuovo a spiegare.
- Lei si ostina a non voler capire. Vede, la cartografia non è, né può essere, il capriccio di un momento di esaltazione e, tanto meno, una forzatura della realtà. Io sono un cartografo importante, sono un'autorità in questo campo, per cui mi creda quando le dico che non mi è consentito, per una questione di deontologia professionale, cambiare le carte in tavola e falsare la planimetria di un territorio. Insomma, nessun cartografo potrà mai sostituirsi agli storici, agli economisti, agli studiosi dei costumi e delle tradizioni. Io, potrei solo limitarmi a riportare su una carta tutto ciò ... se esistesse, in ogni caso! Ma vede signor Tebaldo - e cercò persino un tono più confidenziale e affabile - queste cose non ci sono, non esistono. Perché se esistessero, la terra che lei evoca, sarebbe qui, ora, tra me e lei, grande, mastodontica materia compatta, che io non potrei eludere e a cui dovrei piegarmi docilmente. Tuttalpiù, volendo interferire, potrei registrare qualche aggiustamento, arricchirla di qualche particolare, inserire addirittura un elemento virtuale, che, per altro, diverrebbe immediatamente realtà per il principio delle relazioni comunicanti, lo stesso dei vasi comunicanti della fisica. Ma la Napadia di cui lei mi parla, non è altro che una persistente illusione. Una terra senza radici, non può generare ideali, né cultura, né opere umane, e tanto meno passioni e sofferenze tali da fondare una legatura di sangue. Non si può far nascere dal nulla un popolo e ancor meno una nazione. Perciò non mi chieda l'impossibile.
Scorpiade terminò il suo lungo discorso e, certo di essere stato più che convincente, si apprestò a togliere da davanti a Tebaldo Percato la gran quantità di carte e di atlanti che avrebbero dovuto provare ciò che aveva appena asserito. E, per sottolineare che per quanto lo riguardava il colloquio era finito lì, aggiunse.
- Vede quanto lavoro ho accumulato nei i miei anni di studio? Pensi che tutte le planimetrie, mappe, cartogrammi, dovrò riportarle nella mia opera omnia, la Carta Monadica Totale, elaborata seguendo la teoria della cartografia psicoanalogica. Ma mi scusi se le faccio perdere tempo e l’annoio con discorsi troppo complessi per un profano, pure lei avrà il suo da fare in qualità di Reggente della Napadia – e malgrado avesse una gran fretta di congedarlo e tutto il suo discorso non mirasse che a questo, non poté resistere alla tentazione di aggiungere con tono puntiglioso - nonostante sia una nazione che non c'è!
Tebaldo Percato non si scompose, era abituato a incassare ben altri affronti, perciò non volle intendere l’accento di commiato che Scorpiade aveva dato al discorso. Ignorò persino che il cartografo gli aveva rimesso in mano il borsone di tela nera rigonfio di scartoffie e di fotografie; anzi, facendosi spazio tra quella gran massa di volumi, carte geografiche e foglietti volanti, cercò un posto deve potersi finalmente sistemare. Si sedette su uno scranno polveroso, vicino a un tavolo ingombro di mozziconi di colori a cera e di tamponi, cercò un appoggio per i piedi e avendolo individuato in una pila di volumi posati sul pavimento, si sfilò le scarpe polverose e sformate tirando un sospiro di sollievo.
- Mi scusi sa, ma ho camminato tanto a lungo per trovarla... - si giustificò.
Scorpiade lo fulminò con un’occhiata ma decise di mostrare indifferenza così da scoraggiarlo e costringerlo ad andarsene.
Si rituffò con accanimento nei suoi segni. Quel giorno stava tentando di risolvere una delle questioni fondamentali della geografia: il problema del cambiamento.
Era quello il nodo non solo teorico ma sostanziale che lo aveva contrapposto a Prigogine.
In un mondo, dove la struttura di persistenza temporanea è incessantemente sottoposta all’azione frenetica e pervasiva degli eventi, ogni mutamento, anche il più impercettibile, provoca un’esaltazione della qualità instabile di cui è costituita la materia. E quell’universo è costantemente sospinto sull’orlo del caos, malgrado un niente, possa far sì che tutto, sulla carta, si solidifichi e torni a ricomporsi. Nel mondo di Prigogine, tutti i sistemi sono incardinati l’uno nell’altro in una catena di combinazioni in perenne fluttuazione da determinare un ordine che ha nel cambiamento la propria regola e nel punto di singolarità o di biforcazione la sua stessa dinamica. Un ordine imprevedibile che fonda nell’oscura arbitrarietà dell’evento, l’evoluzione dello stesso. Aveva individuato insomma un criterio che, attraversando le fluttuazioni, rendeva una sequenza iniziale punto di non ritorno ma, allo stesso tempo, elemento fondante di un tempo e di uno spazio a venire, il cui germe era già contenuto nella stessa prerogativa di esistere.
- La geografia del mondo è così disseminata di mozziconi di memorie, di luoghi spuri dove non sarà mai pensabile far funzionare un modello di equilibrio costante tale, da poterlo comparare in qualsiasi punto del sistema, a meno che... - questo pensava Scorpiade quando improvvisamente gli venne in mente la frase di Prigogine che il suo maestro Margal Lupita citava a conclusione di ogni lezione - Viviamo in un mondo dove coesistono diversi tempi tra loro intrecciati e i fossili di molti passati.
E quella frase gli rivelò all’improvviso tutta l’abnormità di quel paradosso.
Certo il suo lavoro, la Carta Monadica Totale che doveva condurre oltre le barriere del tempo e dello spazio e comprendere per la prima volta, intersecate nella stessa sostanza, la dimensione di ogni passato e di tutti i possibili futuri, sarebbe stata, anzi era senz’altro, la summa di ogni conoscenza in fatto di geografia e di scienze comparate. Era come se Eistein fosse riuscito a rappresentare su una mappa la relatività! Per tutti e due, la distanza tra passato, presente e futuro era solo un’ostinata, persistente illusione. Scorpiade sapeva con certezza di essere prossimo a una sconcertante rivelazione; ma ogni volta che si avvicinava al nucleo pesante di quella scoperta, la teoria di Prigogine e del suo ordine attraverso la fluttuazione, gli rovinava tutto.
Ogni singola fluttuazione o combinazione di fluttuazioni gli si manifestavano tanto potenti e scardinanti, da avviare una retroazione che sconvolgeva la posizione spazio-temporale appena raggiunta nella rappresentazione grafica.
Era intento a rimuginare tutta quella complessità di pensieri, quando un ronfare monotono e leggermente sibilante interruppe il filo dei suoi ragionamenti.