amorino alato

amorino alato
C’era in lei, tuttavia, un angolo segreto dove non arrivava il riverbero di nessuna luce. Da lì veniva quella voglia di tenere a bada il corpo e la materia che gli dava forma; lì fluttuavano profumi intensi e dolcissimi, e fruscinìo di sete leggere e il seno bianchissimo di Rosa la Parda. Lì, coltivava il giardino di un’altra vita che ogni tanto, a occhi chiusi o nel sonno, andava a visitare.(Amore Anomalo - daniela frascati)

martedì 15 novembre 2011

Dal settimanale GLI ALTRI “Nuda Vita” di Daniela Frascati, lo stato vegetativo diventa romanzo

Dal settimanale GLI ALTRI
“Nuda Vita” di Daniela Frascati, lo stato vegetativo diventa romanzo

QUEL LIMBO DEL CORPO CHE NON VUOLE PADRONI

di Elettra Deiana
Daniela Frascati è scrittrice raffinata nell’invenzione narrativa e nell’uso del linguaggio, con un’attenzione alla parola che è un tutt’uno con la  capacità di mettere in scena le dimensioni oniriche e i mondi fantasmatici che l’autrice predilige, quelli dell’anima e della vita, ma confusi e inestricabili, soprattutto nelle occasioni in cui capiti di vivere la vita, per mille ragioni, in uno spazio inafferrabile, sospeso tra il qui e il là. O quando il mistero della vita, le misteriose, insondabili pulsioni dell’esistenza ci attraversino con i loro dilemmi e sfondino gli ordinati perimetri della quotidianità.
Nuda Vita (pp 200, euro 9,90), pubblicato da Absolutely free edizioni (http://www.absolutelyfree.it/  www.okbook.it ) è il suo ultimo romanzo, dopo Incunaboli futuri (Robin, 2001), i racconti – bellissimi - nelle miscellanee Piazza bella piazza, La rossa primavera (Nuova Iniziativa Editoriale) e infine Fragole e sangue (Edizioni Clandestine). E’ anche, forse, la cosa più bella che Daniela abbia scritto, in attesa dei suoi lavori futuri, sicuramente già in via di elaborazione.
Delfina, la protagonista di Nuda Vita, è una giovane donna rimasta vittima di un incidente. Giace in stato vegetativo in un letto d’ospedale, mentre l’affanno della quotidianità di mille personaggi in cerca di autore scorre accanto a lei. Ma l’ invenzione narrativa del coma profondo – che è anche l’incipit del romanzo - non serve affatto all’autrice per affrontare o solo riecheggiare le problematiche  dell’aspro dibattito che un paio di anni fa si sviluppò nel nostro Paese intorno al dramma di Eluana Englaro. La traiettoria narrativa è del tutto diversa, lontanissima dalla contingenza della cronaca o dai dilemmi dell’etica o dalle finalità della politica. La nuda vita è quel che resta di Delfina ed è Delfina stessa, ridotta a un grumo sensoriale, che riecheggia dentro di sé, nel cerchio magico del pensare, il carsico e misterioso vagabondare della sua condizione. Questo l’autrice vuol mettere in scena, in quel desiderio di rappresentare l’irrappresentabile che è sovente la cifra del suo scrivere.  Delfina vive sospesa tra il qui e il là, attratta magneticamente dalla caverna primordiale in cui è precipitata, nel limbo estremo della  vita sensoriale che i medici definiscono minimal responsive.  Corpo inerte fra le lenzuola di un letto d’ospedale,  mente/spirito/ anima - o che cosa? - pensante e auto narrante, pervicacemente ostile a farsi risucchiare nel varco all’indietro per tornare nel mondo dei maximal responsive. Che l’assediano, le parlano, la toccano, l’invocano. Allora, allora, Delfina? Quando torni fra noi?
Delfina percepisce come se fossero ombre la madre, il padre e tutti gli altri visitatori che vanno avanti e indietro. Ma sono ombre che incombono, l’assediano, cercano di risucchiarla verso l’alto. Per non avvertirne più la presenza incombente, Delfina vuole chiudere ogni superstite feritoia vagamente sensoriale di se stessa, ogni fessura che costituisca un canale di comunicazione tra il di qua, che è suo, e il di là, che non vuole più. Vuole insomma impedire a chi si affanna intorno al suo letto di arrivare fino al vuoto del suo pensiero e riacchiapparla. Quel vuoto Delfina lo vuole totale e assoluto, perché questa è la condizione che le consente di rimanere nello stato in cui è precipitata dove lei si raggomitola: non tempo e non luogo, “ un giù, dove una parte di me sta precipitando, e un su, dove l’altra parte si trattiene e quel punto sono io, il punto intorno a me”. Ma, si chiede in quel vagare del suo insonne pensiero, “come potrò proteggerlo ancora (questo punto) se ne stanno corrompendo la persistenza?”
Il mondo di Delfina e il mondo a cui vuole sfuggire, affollato di personaggi stereotipati che assomigliano a maschere, impersonano ruoli, obbediscono a input. Un corpo a corpo tra i due mondi: il dottore che annuncia gli avanzamenti positivi, rassicura e incoraggia, dà consigli; la madre che si affanna, chiede certezze, si preoccupa, riempie la stanza di peluches e poster e cuoricini, il padre che è vissuto lontano, oppresso da quella donna divorante – così lui chiama la sua ex moglie e madre di Delfina- che gli ha impedito di stare quanto avrebbe voluto con sua figlia.  E poi lo zio che gira per la stanza sbraitando sguaiatamente contro la sorella e mettendo in scena segreti e miserie di famiglia,  nonché un furibondo litigio con la sorella, la madre di Delfina, Fiore.
Insomma i due mondi, il minimal responsive e il maximal responsive, apparentemente lontani e non comunicanti, diventano nella fuga di Delfina l’uno il riflesso dell’altro, connessi nel grumo di vita che è la protagonista, intrecciati e comunicanti in quel flusso di pensiero senza sosta che misteriosamente fa vivere chi dalla vita fugge. Fino all’ultimo sogno di Delfina, dove la protagonista si libra nella dimensione estrema del desiderio, in una sorta di meta minimal responsive stato. Da leggere, insomma.