Titolo: Il
libro nero
Autore: Ohran Pamuk
Editore: Einaudi
Anno: 2007 (Prima Edizione Originale 1990)
Traduzione: Semsa Gezgin
Autore: Ohran Pamuk
Editore: Einaudi
Anno: 2007 (Prima Edizione Originale 1990)
Traduzione: Semsa Gezgin
Il libro nero di Pamuk è un libro difficile, labirintico, notturno, sotterraneo
e metaletterario, come sente il bisogno di chiarire al lettore lo stesso
Pamuk, in una postfazione di dieci anni dopo. Questo romanzo è
infatti "il romanzo" ma anche "la rappresentazione della
sua creazione letteraria", tanta è stata la compromissione
dell'autore nello scriverlo.
Una
stesura durata cinque anni, di cui l'ultimo periodo chiuso in un appartamento
vuoto, dentro un palazzo di 17 piani, nel quartiere di Erenköy,
completamente abbandonato alla scrittura, con la paura di perdersi nel
labirinto che stava costruendo e la rivelazione che quel labirinto fosse lui
stesso e la propria storia.
«Mi sentivo completamente solo come Galip
(forse per riversare nel libro questo senso di perdizione). Romanzi così, cui
avete dedicato la vostra esistenza, vi portano passo dopo passo dove desiderano
loro, proprio come la nostra vita legata a questo libro.»
Forse
proprio per questo, nella sua oscurità, è uno dei libri più affascinanti che si
possano leggere, paragonabile all'opera di Borges che, con le sue
enciclopediche e incessanti citazioni, pare volerci ricordare che solo nel
manifestarsi del paradosso può, forse, affiorare la verità. Come lui, Pamuk,
nella costruzione delle innumerevoli narrazioni che attraversano la storia de
Il libro nero, sembra dirci che la verità, così come la conosciamo, non è
sensata, non procede secondo una logica comprensibile, e ogni cosa è illusione,
menzogna, artificio scenico, nella vita come nella letteratura.
Come
ne L'uccello
che girava le viti del mondo di Murakmi Haruki, anche ne Il libro nero
la storia muove dalla scomparsa della moglie del protagonista.
Lì, assieme alla moglie scomparirà anche il gatto di Toru Okada; qui la scomparsa dell'amatissima moglie Rüya svelerà anche la scomparsa di Celâl, il fratellastro di molti anni più vecchio di lei.
Lì, assieme alla moglie scomparirà anche il gatto di Toru Okada; qui la scomparsa dell'amatissima moglie Rüya svelerà anche la scomparsa di Celâl, il fratellastro di molti anni più vecchio di lei.
Celâl
è un giornalista molto apprezzato che sulla rubrica di un giornale, il «Milliyet», da trentacinque anni scrive,
senza saltare un numero, un'interrotta opera enciclopedica di
ricostruzione di Istanbul, attraverso gli oggetti della modernità e gli echi
del suo passato.
Così
Il libro nero diventa un immenso contenitore di storie, una dentro l'altra, una
dietro l'altra, la cui connessione è la spirale di smarrimento e perdita che la
sparizione di Rüya sembra portare alla luce ma, allo stesso tempo, è un
giallo dove gli intrecci si aggrovigliano su se stessi e gli indizi, anziché
avvicinare la soluzione, la allontanano.
Rüya,
che Galip conosce fin dall'infanzia, se ne va lasciandogli una lettera
d'addio di diciannove parole. Una sorta di enigma scritto con una biro verde.
Una biro come quella che Galip aveva perso in mare quand'era bambino durante
una gita in barca con Rüya, e che Celâl aveva inserito in una magistrale
puntata della sua rubrica sul «Milliyet»,
dove immaginava tutti gli oggetti che sarebbero venuti alla luce «il giorno che il Bosforo andrà in secca».
Da
questa lettera inizia la ricerca di Rüya e, nello stesso tempo, la
ricerca della ragione della sua scomparsa.
Il libro nero è un romanzo che sovrappone, accumula, vive di doppi, di
fantasmi, d'identità rubate; dove gli oggetti, le cose della vita quotidiana,
come in un sogno hanno una misura fangosa che tira dentro un vortice dove ci si
perde. Così Istanbul, le sue strade, i suoi palazzi, i personaggi, sembrano
vivere in realtà che si specchiano e si sdoppiano e, imprevedibilmente,
s'incontrano tra le pagine del romanzo, assumendo di volta in volta un
altro significato, un altro ordine temporale, un'altra dimensione.
«Ogni cosa si rispecchia in un'altra, e tutte
le cose e le persone sono contemporaneamente se stesse e la loro replica».
C'è
un abisso tra l'Istanbul dell'omonimo romanzo/biografia di Pamuk e questa
Istanbul catacombale, fatta di sotterranei reali e di sotterranei dell'anima,
di storie stratificate che si chiamano tra loro. Non c'è luogo senza segreti, o
architettura che non nasconda un'ombra e ne proietti un'altra.
Dal
capitolo diciottesimo: Il pozzo buio
«Molti anni dopo, un pomeriggio, sono andato
a rivedere quel palazzo. Avevo percorso quella strada sempre affollata
un'infinità di volte, comminando su quegli stessi marciapiedi dove durante
l'intervallo di mezzogiorno, si spintonano con la cartella in mano i liceali
tutti stazzonati (...) Era una sera d'inverno. Si era fatto buio presto e il
fumo dei comignoli era sceso come una nebbia sullo stradone. Le luci accese
erano soltanto due, lucine fioche, malinconiche, di due uffici dove si stava
lavorando fino a tardi. Per il resto la facciata era nel buio più totale. Tende
scure tirate su appartamenti bui, finestre vuote, inquietanti come gli occhi di
un cieco. In confronto a ciò che era stata un tempo ebbi l'impressione di una
cosa fredda, insignificante, poco piacevole. Non era nemmeno possibile
immaginare che un tempo ci avesse vissuto n'estesa famiglia, gli uni sopra gli
altri, sempre insieme, pronti ad accapigliarsi,in un'enorme baraonda.
Mi piacque lo stato di abbandono e rovina in cui versava l'edificio
(...) Che cosa ne sarà stato del mistero nascosto nella forra che poi è
diventato il pozzo di aerazione? E che cosa ne sarà stato del pozzo stesso, con
tutto quello che c'era dentro? Mi riferivo al pozzo vicino al palazzo, la
cavità senza fondo che di notte provocava brividi di paura e non soltanto a me
ma anche a tutti i bambini e gli adulti che abitavano ai diversi piani
dell'edificio, Pullulava di pipistrelli, serpenti velenosi, ratti e scorpioni
come il pozzo di una favola.»
Il
libro Nero è una preziosa e complessa impalcatura letteraria, ma anche una
sorta di discesa negli inferi dell'anima.
Conferendo a Orhan Pamuk il Premio Nobel per la letteratura 2006, i membri dell'Accademia svedese hanno scritto che "Il libro nero è un'odissea attraverso un'Istanbul notturna piena di geni e presenze impalpabili, una città dove le storie inventate sembrano più credibili di quelle vere, e la verità è un'ombra sul muro."
Conferendo a Orhan Pamuk il Premio Nobel per la letteratura 2006, i membri dell'Accademia svedese hanno scritto che "Il libro nero è un'odissea attraverso un'Istanbul notturna piena di geni e presenze impalpabili, una città dove le storie inventate sembrano più credibili di quelle vere, e la verità è un'ombra sul muro."
Pamuk
non rivela o, forse, non può rivelare ciò che sta dentro e oltre la storia.
Anzi ogni rivelazione è a sua volta occultamento e sprofondamento in una
dimensione onirica eppure iperreale.
«Sì, c'era una volta un principe che aveva
scoperto che il problema fondamentale della vita è essere o non essere se
stessi, ma quando Galip cominciò a immaginare i colori della storia, si sentì
prima trasformare in un altro, poi in uno che si addormenta.»
E
come scrive alla fine della sua postfazione: «Perché non c'è nulla di sorprendente come la vita. Tranne lo scrivere.
Lo scrivere. Sì, certo tranne lo scrivere, l'unica consolazione che abbiamo.»
Bella proprio bella e interessante, questa recensione e come sempre, la tua scrittura mi "cattura" sempre anche in...RECENSIONE!
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