La Fantastica storia del RE POTE
C’era una volta, in un regno fantastico, un Re miliardario e potente. Nel suo regno ogni cosa era perfetta e i suoi sudditi appagati. Il Re Pote viveva in un grandioso castello da dove, con centinaia di telecamere sorvegliava che nel suo reame tutto scorresse secondo l’ordine meticoloso che emanava dalla sua volontà. I sudditi del Re Pote svolgevano i loro compiti come tante formichine coscienziose. Per le strade il traffico scorreva ordinato e senza intoppi. La gente non perdeva tempo, non si fermava a parlare, non si distraeva a guardare i fiori o le nuvole nel cielo; ogni cosa e ogni persona era esattamente nel posto dove doveva essere. Agli angoli delle strade, giganteschi altoparlanti ogni mezz’ora diffondevano la voce del Pote Re che salutava il suo popolo.
- Siate leggeri e spensierati, o fortunati sudditi di questo regno prospero, servite con passione e gioia il vostro re. Nessuna preoccupazione potrà mai turbare la vostra esistenza fino a che ci sarò io a pensare e decidere per tutti.
In quel regno perfetto una sola cosa incrinava le certezze del Sovrano ed era l’impertinenza della sua bellissima figlia Pinocchia.
Fin da piccola la curiosità irriverente di quella bambina era andata di pari passo con il suo dispettoso naso. La ragazzina ficcanasava ovunque; di ogni cosa chiedeva il perché e il percome, scombussolando la vita del regno. Piombava nella bottega del fornaio, dove il poveretto sudava sette camice sfornando in continuazione pani croccanti e profumati di ogni forma e dimensione e, lì su due piedi, chiedeva al malcapitato e ai suoi aiutanti:
- Perché, voi che siete i panettieri del regno e impastate pagnotte gigantesche e soffici per il Re e la sua corte, mangiate solo croste secche e briciole avanzate? - e ai minatori che tornavano dalle miniere di smeraldi sporchi di terra e anneriti dal fumo dell'acetilene - Come mai, voi che strappate alla terra tutti quei tesori e quelle ricchezze, siete invece così miseri e cenciosi?
I malcapitati non sapevano cosa rispondere. Nessuno aveva mai rivolto loro domande tanto difficili e inopportune. Tutti quei punti interrogativi rotolavano da una parte all'altra delle loro teste fino a che non perdevano la ragione e le guardie del Pote Re dovevano metterli a riposo nelle prigioni del castello.
Fu a quel punto che intervenne il gran ciambellano Sottilini.
- Vostra Altezza Reale, è necessario per il bene del regno che Pinocchia venga allontanata per un periodo di rieducazione all'ordine. Vi chiedo di affidarmela, Ve la riporterò quando non ficcasanerà più.
A malincuore il Sovrano che amava molto quell'impertinente principessina, fu costretto ad accondiscendere alla richiesta del Gran Ciambellano.
Così Pinocchia, in una notte nera come la pece, fu caricata sopra un carro di carbone e condotta dal perfido Sottilini nella Torre dell'Oblio ai confini del regno.
Passavano i giorni in quella prigione desolata.
Pinocchia trascorreva il suo tempo affacciata alla finestra che dava a levante. Da là vedeva cose meravigliose che non aveva mai neanche immaginato. Foreste di querce imponenti e maestose, pianure verdi come gli smeraldi e, laggiù lontano, nelle mattinate più limpide, poteva addirittura scorgere il luccichio del mare. Nelle interminabili notti solitarie Pinocchia imparò a osservare le stelle e a riconoscerle una per una seguendone l'impercettibile spostamento nell'arco del cielo.
Ogni tanto il Gran Ciambellano Sottilini andava a trovarla sperando di sorprenderla sfinita dalla solitudine ma, a Pinocchia, non appena lo vedeva, il naso cominciava a prudere a più non posso e così un effluvio di domande si riversavano sul malcapitato:
- Perché il mondo è così vasto e bello e i nostri sudditi non possono oltrepassare la foresta del Limite ? Perché il tempo, che non ha misura ed è di tutti, nel regno di mio padre, viene imprigionato nelle grandi clessidre del tempio e lui il grande Sovrano lo amministra a suo piacimento? -
Il gran ciambellano Sottilini scappava via terrorizzato.
Quella ragazzina era un pericolo incombente per il prospero e ordinato regno del Pote Re, bisognava assolutamente eliminarla.
Così chiamò al suo cospetto l'elfo più perfido e maligno della foresta e l'incaricò di ucciderla.
Pondilla, l'elfo, fu ben felice di assumersi l'incarico; del resto aveva proprio bisogno di rinforzare il suo prestigio un po’ in ribasso e, detto fatto, si trasformò in un minuscolo grillo verde che, balzelloni, balzelloni, arrivò fino alla torre dell'Oblio.
A Pinocchia non sfuggì quell’animaletto che se la studiava ormai da un bel pezzo, immobile sotto un ciuffo d'erba che cresceva tra le crepe del davanzale.
- Ciao grilletto - lo salutò Pinocchia - come hai fatto ad arrivare così in alto?
Pondilla fu sul punto di rivelare la sua vera natura ed eliminarla immediatamente, ma rimase grillo verde, e continuò a osservare la bella principessina e il suo naso bizzarro che s'impennava a ogni curiosità.
A forza di studiarla per cogliere il momento più adatto in cui avrebbe potuto sopprimerla, Pondilla rimase irretito nella grazia leggera e geniale con la quale Pinocchia, dall'alto di quella prigione, si spiegava il mondo.
Così rimandava di giorno in giorno il momento in cui avrebbe compiuto quel gesto irreparabile e intanto, la torre in cui divideva la sua nuova esistenza di grillo verde con Pinocchia, diventava un luogo speciale, l'avamposto di un mondo meraviglioso che niente aveva a che fare con il mondo degli umani triste e desolato che Pondilla aveva conosciuto.
Là nella torre dell'Oblio i giorni rilucevano.
L'intensità e la passione che Pinocchia metteva nel vivere quella sua vita di solitudine, ravvivata ora dalla presenza del grillo, era commovente.
Una notte che il vecchio Pondilla si struggeva di malinconia per il suo mondo verde e umido, e di amore per quella fanciulla dall'intelligenza assoluta, per una svista nel controllo dei suoi poteri, ritornò a essere Pondilla l'elfo. Quando Pinocchia si svegliò, trovò un’orribile creatura verdastra e bitorzoluta che la guardava accovacciata infondo al suo letto.
- Chi sei? Come sei arrivato fino quassù? E il io amico grillo, dov’è? L’hai ucciso? Dimmelo, ti prego? Come farò ora senza di lui?
Pondilla, commosso per la disperazione di Pinocchia non trovò il coraggio di confessare la verità. Si rannicchiò nell’angolo più buio, coprendosi il volto per non spaventarla. Lei spinta dal dolore per la perdita dell’amico con il quale aveva diviso la sua solitudine, e spaventata per la visione di quell’essere ripugnante, corse verso la finestra e si gettò dall’altissima torre. Pondilla, il vecchio elfo innamorato, per non perderla definitivamente, riuscì a trasformare quella caduta mortale nello scoscio di una cascata pura come cristallo di rocca.
Allora quell’acqua impetuosa dilagò nella foresta, arrivò fino alla vetta altissima dove era appollaiato il castello del Pote Re e lo trascinò via, lontano assieme al gran ciambellano Sottilini e alla sua corte di gentiluomini perfetti.
Poi del tumulto della cascata non rimase che un limpido zampillo dove, i sudditi di un regno ormai senza Re, venivano a dissetarsi di una nuova sete, quella della consapevolezza e della libertà.
Ma, guardando con un po’ di attenzione tra la schiuma e il gorgoglio dell'acqua si poteva vedere una candida ninfa di fonte con un curioso naso che giocava a farsi inseguire da un vecchio cavalluccio verdastro e gibboso.
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