di Renato Minore |
- ROMA (7 novembre) -
Simone Simonini, l’unico personaggio di pura invenzione, sia pure - come confessa Umberto Eco - “effetto di un collage” per cui gli vengono attribuite cose “fatte da persone diverse”, regge sulle sue spalle come Atlante quasi tutti i più clamorosi complotti dell’Ottocento, come una specie di macchina centripeta intorno a cui si addensano misfatti, persecuzioni, delitti, travestimenti d’ogni tipo. Il protagonista de Il Cimitero di Praga, sesto romanzo di Eco (Bompiani, 518 pagine, 19,50 euro) è infatti una pasta tutta particolare di gaglioffo, di falsario, di traditore, nonché impotente (con una sola, disastrata esperienza erotica) e ghiottone impenitente.
Di professione sarebbe notaio, nipote ottocentesco di un nonno reazionario, ammiratore di Augustin Barruel, uno dei più feroci oppositori dell’illuminismo e della massoneria; e da lui discende per li rami il feroce odio per ebrei e rivoluzionari, il servilismo truce e calcolatore verso ogni forma di potere. In realtà fin da giovane egli si è rivelato specialista di documenti farlocchi: dai testamenti contraffatti o inventati allo spionaggio, sistematico e prolungato, il passo è breve. Diventa così lo spregiudicato calligrafo per cui il confine tra vero e falso è una linea di fumo, disposto a tutto pur di essere servizievole nei confronti dei potenti di turno, gesuiti, repubblicani, massoni che siano, in un vertiginoso cambio di danza che abbraccia più paesi europei. Simonini comincia i suoi servigi con il re di Sardegna, come una spina nel fianco della spedizione dei Mille in Sicilia dove, fin troppo zelante, progetta e realizza la scomparsa in mare di Nievo, che porta le carte compromettenti dell’impresa garibaldina, e con un attentato davvero all’avanguardia per la tecnica esplosiva messa in azione. Nella sua febbre di falsi da vendere al numero più alto di acquirenti, Simonini non esita a diventare pluriomicida, passando per oscure cloache e riti satanici. Mette il malefico zampino nell’affare antisemita che porta alla persecuzione nei confronti di Dreyfus in Francia, quella contro cui si schiera Zola. Sta in prima linea contro i comunardi nella Parigi del 1871 dove si mangiano i topi tra le barricate, al momento opportuno transloca al servizio dell’occhiuto e temibile spionaggio dello Zar, fino ad essere coinvolto in un attentato “dimostrativo” che (forse) spezzerà per sempre la sua corsa folle di intrighi e tripli giochi in cui gli è capitato pure di incrociare il detestato cocainomane Freud, “il dottor Froide” o una mistica Suor Teresa, carmelitana di Lisieux.
Insomma una vita davvero esemplare, da santino del male, di falsario e spia internazionale che si muove tra i personaggi più discutibili del secolo come il massone traditore (poi pentito) Taxil e il prete fondatore della setta satanica Boullan. Nel tapis roulant delle peregrinazioni di Simonini, Eco porta nel cuore pulsante di complotti, plagi, raggiri di tutte le nature, ne mostra il meccanismo e la costruzione mentre le carte si rovesciano in ogni istante e tutti finiscono per essere ebrei o antisemiti. Ci porta, soprattutto, nel maelström di irrazionalità su cui si fonda la storia moderna, in quella sorta di piattaforma teorica di estrema falsificazione su cui si è alimentato l’orrore dello sterminio nel Novecento. Il capolavoro di Simonini, quello che negli anni gli sarà chiesto di replicare e di perfezionare a seconda del committente, sarà la narrazione del falso di tutti i falsi, estratto in parte dai romanzi d’appendice di Dumas, secondo l’interpretazione semiofilologica di Eco. E cioè la cospirazione notturna dei rabbini, il piano per dominare il mondo steso fra le lapidi del cimitero israelitico di Praga che, nel tempo, darà linfa ai Protocolli dei Savi Anziani di Sion, la madre di ogni pamphlet antisemita: quel testo che, benché reputato apocrifo, ha dominato per decenni la propaganda con la “novità” della figura dell’ebreo discriminato e reietto, trasformato nell’essere demoniaco dominatore nella finanza internazionale, sovversivo per natura e vocazione.
Ha detto Eco in una intervista: “Chi è il nemico? Il diverso. Ma mentre gli altri diversi, i catari, gli albigesi, sono scomparsi e massacrati, la tradizione ebraica, grazie alla forza della sua cultura, ha resistito un po’ dovunque. E l’ebreo è diventato il diverso per eccellenza”. Già nel Pendolo di Foucault lo scrittore aveva messo in scena l’ossessione del complotto e in Baudolino aveva dato vita a un piccolo (ma delizioso) furfante che annega nelle sue menzogne, per altro assai inventive. Nel Cimitero di Praga la storia del complotto e quella del falsario geniale (e in questo caso malefico) si fondono nell’incalzare dei colpi di scena che ricostruiscono la tabe cospirazionista. E la ricostruiscono anche grazie alle stampe d’epoca che, in un romanzo anche straordinariamente figurato, prolungano la sospensione dell’incredulità della lettura, delineando figure, ambienti, strereotipi narrativi. E tutto nel flusso di una narrazione dove essenziale non è il rapporto tra la storia e la sua verosimiglianza, ma il camuffamento della storia in veste di feuilleton. Ma senza la gioia dichiarata di mettersi dalla parte dei buoni e di esecrare le malefatte dei cattivi, come in ogni buon romanzo d’appendice, ma in un amalgama cupo e mozzafiato che al culmine, tra i tanti misteri schiusi in una serie di racconti sommersi dentro il filo rosso delle avventure di Simonini, giunge alla discriminazione e alla persecuzione. Effetto davvero perverso della sistematica falsificazione degli eventi e del loro trasformarsi in micidiali oggetti d’odio perenne, di cui Il Cimitero di Praga stila un allucinato repertorio di pensieri, personaggi, ambienti, ognuno inverato da un documento o da una citazione e tutti ruotanti intorno a quel vuoto pienissimo (come Malebranche raffigura il male) in cui consiste il notaio sabaudo, capitano, monsieur Simonini.
Di professione sarebbe notaio, nipote ottocentesco di un nonno reazionario, ammiratore di Augustin Barruel, uno dei più feroci oppositori dell’illuminismo e della massoneria; e da lui discende per li rami il feroce odio per ebrei e rivoluzionari, il servilismo truce e calcolatore verso ogni forma di potere. In realtà fin da giovane egli si è rivelato specialista di documenti farlocchi: dai testamenti contraffatti o inventati allo spionaggio, sistematico e prolungato, il passo è breve. Diventa così lo spregiudicato calligrafo per cui il confine tra vero e falso è una linea di fumo, disposto a tutto pur di essere servizievole nei confronti dei potenti di turno, gesuiti, repubblicani, massoni che siano, in un vertiginoso cambio di danza che abbraccia più paesi europei. Simonini comincia i suoi servigi con il re di Sardegna, come una spina nel fianco della spedizione dei Mille in Sicilia dove, fin troppo zelante, progetta e realizza la scomparsa in mare di Nievo, che porta le carte compromettenti dell’impresa garibaldina, e con un attentato davvero all’avanguardia per la tecnica esplosiva messa in azione. Nella sua febbre di falsi da vendere al numero più alto di acquirenti, Simonini non esita a diventare pluriomicida, passando per oscure cloache e riti satanici. Mette il malefico zampino nell’affare antisemita che porta alla persecuzione nei confronti di Dreyfus in Francia, quella contro cui si schiera Zola. Sta in prima linea contro i comunardi nella Parigi del 1871 dove si mangiano i topi tra le barricate, al momento opportuno transloca al servizio dell’occhiuto e temibile spionaggio dello Zar, fino ad essere coinvolto in un attentato “dimostrativo” che (forse) spezzerà per sempre la sua corsa folle di intrighi e tripli giochi in cui gli è capitato pure di incrociare il detestato cocainomane Freud, “il dottor Froide” o una mistica Suor Teresa, carmelitana di Lisieux.
Insomma una vita davvero esemplare, da santino del male, di falsario e spia internazionale che si muove tra i personaggi più discutibili del secolo come il massone traditore (poi pentito) Taxil e il prete fondatore della setta satanica Boullan. Nel tapis roulant delle peregrinazioni di Simonini, Eco porta nel cuore pulsante di complotti, plagi, raggiri di tutte le nature, ne mostra il meccanismo e la costruzione mentre le carte si rovesciano in ogni istante e tutti finiscono per essere ebrei o antisemiti. Ci porta, soprattutto, nel maelström di irrazionalità su cui si fonda la storia moderna, in quella sorta di piattaforma teorica di estrema falsificazione su cui si è alimentato l’orrore dello sterminio nel Novecento. Il capolavoro di Simonini, quello che negli anni gli sarà chiesto di replicare e di perfezionare a seconda del committente, sarà la narrazione del falso di tutti i falsi, estratto in parte dai romanzi d’appendice di Dumas, secondo l’interpretazione semiofilologica di Eco. E cioè la cospirazione notturna dei rabbini, il piano per dominare il mondo steso fra le lapidi del cimitero israelitico di Praga che, nel tempo, darà linfa ai Protocolli dei Savi Anziani di Sion, la madre di ogni pamphlet antisemita: quel testo che, benché reputato apocrifo, ha dominato per decenni la propaganda con la “novità” della figura dell’ebreo discriminato e reietto, trasformato nell’essere demoniaco dominatore nella finanza internazionale, sovversivo per natura e vocazione.
Ha detto Eco in una intervista: “Chi è il nemico? Il diverso. Ma mentre gli altri diversi, i catari, gli albigesi, sono scomparsi e massacrati, la tradizione ebraica, grazie alla forza della sua cultura, ha resistito un po’ dovunque. E l’ebreo è diventato il diverso per eccellenza”. Già nel Pendolo di Foucault lo scrittore aveva messo in scena l’ossessione del complotto e in Baudolino aveva dato vita a un piccolo (ma delizioso) furfante che annega nelle sue menzogne, per altro assai inventive. Nel Cimitero di Praga la storia del complotto e quella del falsario geniale (e in questo caso malefico) si fondono nell’incalzare dei colpi di scena che ricostruiscono la tabe cospirazionista. E la ricostruiscono anche grazie alle stampe d’epoca che, in un romanzo anche straordinariamente figurato, prolungano la sospensione dell’incredulità della lettura, delineando figure, ambienti, strereotipi narrativi. E tutto nel flusso di una narrazione dove essenziale non è il rapporto tra la storia e la sua verosimiglianza, ma il camuffamento della storia in veste di feuilleton. Ma senza la gioia dichiarata di mettersi dalla parte dei buoni e di esecrare le malefatte dei cattivi, come in ogni buon romanzo d’appendice, ma in un amalgama cupo e mozzafiato che al culmine, tra i tanti misteri schiusi in una serie di racconti sommersi dentro il filo rosso delle avventure di Simonini, giunge alla discriminazione e alla persecuzione. Effetto davvero perverso della sistematica falsificazione degli eventi e del loro trasformarsi in micidiali oggetti d’odio perenne, di cui Il Cimitero di Praga stila un allucinato repertorio di pensieri, personaggi, ambienti, ognuno inverato da un documento o da una citazione e tutti ruotanti intorno a quel vuoto pienissimo (come Malebranche raffigura il male) in cui consiste il notaio sabaudo, capitano, monsieur Simonini.
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