Le mutilazioni genitali femminili
Amnesty International
Per mutilazioni genitali femminili (MGF) si intende un insieme di pratiche rituali tradizionali presenti in molte comunità africane e asiatiche, connesse a riti d'iniziazione femminile e d'integrazione sociale, attraverso cui si effettua l'asportazione totale o parziale dei genitali femminili.
Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità ogni anno sarebbero circa due milioni le ragazze e bambine costrette a subirne le pesanti conseguenze, mentre si stima a 135 milioni il numero totale di donne e bambine mutilate nel mondo.
Tali pratiche, difese dalla comunità d'origine in nome della tradizione e spesso, per paura dello stigma sociale e dell'emarginazione, dalle stesse donne che le subiscono, rappresentano un gravissimo pericolo per l'integrità fisica e psicologica della donna: sono causa di emorragie, infezioni, traumi e, talvolta, di morte, poiché aumentano la probabilità di complicazioni durante il parto.
Oggi le mutilazioni genitali femminili sono osteggiate da gruppi e associazioni di attivisti in tutto il mondo in quanto considerate una grave forma di violenza, oltre che un brutale strumento di controllo della sessualità femminile, che permette il perpetuarsi della condizione discriminatoria che molte donne vivono all'interno delle loro comunità.
Le MGF rappresentano un'esplicita violazione dei diritti umani delle donne, così come sono stati formulati nei vari trattati internazionali, cui gli Stati responsabili sono chiamati ad adeguare le loro legislazioni interne.
Un recente rapporto di Amnesty International sulle MGF in quattro paesi africani (Benin, Gambia, Ghana e Senegal) ha evidenziato la difficoltà di intervento su una realtà complessa, in cui diverse dimensioni sociali si sovrappongono: una strenua resistenza alla loro abolizione proviene, infatti, dalle numerose donne specializzate nel praticare l'operazione, per le quali le MGF rappresentano una sicura e cospicua fonte di reddito oltreché il riconoscimento di un apprezzato status sociale, in contesti in cui la maggioranza delle donne è normalmente condannata alla povertà e all'esclusione.
Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità ogni anno sarebbero circa due milioni le ragazze e bambine costrette a subirne le pesanti conseguenze, mentre si stima a 135 milioni il numero totale di donne e bambine mutilate nel mondo.
Tali pratiche, difese dalla comunità d'origine in nome della tradizione e spesso, per paura dello stigma sociale e dell'emarginazione, dalle stesse donne che le subiscono, rappresentano un gravissimo pericolo per l'integrità fisica e psicologica della donna: sono causa di emorragie, infezioni, traumi e, talvolta, di morte, poiché aumentano la probabilità di complicazioni durante il parto.
Oggi le mutilazioni genitali femminili sono osteggiate da gruppi e associazioni di attivisti in tutto il mondo in quanto considerate una grave forma di violenza, oltre che un brutale strumento di controllo della sessualità femminile, che permette il perpetuarsi della condizione discriminatoria che molte donne vivono all'interno delle loro comunità.
Le MGF rappresentano un'esplicita violazione dei diritti umani delle donne, così come sono stati formulati nei vari trattati internazionali, cui gli Stati responsabili sono chiamati ad adeguare le loro legislazioni interne.
Un recente rapporto di Amnesty International sulle MGF in quattro paesi africani (Benin, Gambia, Ghana e Senegal) ha evidenziato la difficoltà di intervento su una realtà complessa, in cui diverse dimensioni sociali si sovrappongono: una strenua resistenza alla loro abolizione proviene, infatti, dalle numerose donne specializzate nel praticare l'operazione, per le quali le MGF rappresentano una sicura e cospicua fonte di reddito oltreché il riconoscimento di un apprezzato status sociale, in contesti in cui la maggioranza delle donne è normalmente condannata alla povertà e all'esclusione.
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