Daniela Frascati (2008)
Non possiamo essere sorpresi che le destre siano oggi al governo del Paese. La loro ascesa viene da lontano e ciò che stupisce è che invece a sinistra nessuno abbia saputo cogliere i segnali che erano manifesti fin dalla cosiddetta “discesa in campo” di Berlusconi.
L’inizio lo possiamo intravedere già nei “favolosi” anni 80 di craxiana memoria quando un governo megalomane faceva galoppare il debito pubblico alla velocità della luce e delle mazzette, distribuendo prebende e favori e rendendo i nuovi ricchi ingrassati e felici e i nuovi poveri incazzati e depredati ma sempre più soli e lontani da coloro che avrebbero dovuto rappresentare i loro bisogni.
Sono questi gli anni dell’ascesa di Berlusconi come tycoon delle televisioni. Padrone indiscusso di un apparato di persuasori più o meno occulti dove le cose e le persone stanno assieme trascinate dalla fascinazione immateriale della comunicazione visiva che attraversa capillarmente la società: un brusio e uno sfarfallio di immagini che intercettano continuamente il bisogno di un’identità individuale e sociale che si sta sfaldando.
Anni che sono stati un passaggio epocale dove la fine di un lungo ciclo tecnico e organizzativo di accumulazione del capitale coincide, non casualmente, con il venir meno delle grandi battaglie che hanno fatto la storia del movimento operaio.
L’appartenenza di classe non si salda più all’esperienza di vita di coloro che dividono la stessa condizione, anzi, in una società dove la competizione sociale viene promossa come affrancamento dalla “mediocrità” che trattiene nell’insignificanza, è un armamentario obsoleto che frena la dinamica sociale. Una categoria che va cancellata dal vocabolario della politica e, dentro questa nuova solitudine sociale, il lavoro è ricacciato sempre più nella primitiva condizione di lavoro sottoposto in cui il comando sul lavoro torna a identificarsi col comando sulla persona che lavora. In questa debolezza il conflitto viene frantumato al suo nascere e ridotto a espressione indifferenziata del disagio e della sofferenza individuale di donne e uomini. Un linguaggio spezzato che trasmette miseria simbolica e impoverimento critico.
In questo silenzio si consuma la dissoluzione di quel senso comune di sinistra che aveva attraversato l’intera società italiana del dopo guerra con le sue istanze civili e democratiche.
Se l’egemonia si costruisce a partire dalla capacità di conquistare l’adesione a un progetto politico e culturale condiviso e partecipato e si riproduce come influenza materiale e immateriale, capace di permeare le istituzioni più vitali e potenzialmente creative di una società, come non accorgersi che Berlusconi possedeva concretamente proprio gli strumenti più adeguati con cui manipolare e governare una società civile ormai allo sbando? Tanto più che questo emergere dell’antipolitica si manifesta quando ormai il sistema produttivo del fordismo-taylorismo ormai al tramonto aveva già compromesso la capacità della classe operaia di agire e dispiegare il suo antagonismo non solo all’interno della fabbrica ma anche nella società e, perduto questo baricentro, viene meno anche quel senso comune di sinistra che comincia a sbandare verso un’accettazione passiva e acritica dell’esistente.
Ciò che è avvenuto e di cui i partiti della sinistra sembrano non accorgersi è un mutamento profondo della società. Uno svuotamento di valori e di senso dentro un’incertezza economica sempre crescente che va di pari passo con la loro incapacità, anche quando sono al governo, di rispondere ai bisogni della gente, intanto che Berlusconi, ma anche la destra di discendenza fascista, consolidano la loro “presa” del potere, conquistando le istituzioni ma anche la testa della gente. Berlusconi è il leader indiscusso e può darsi in pasto al popolo come self made man che ha creato un impero economico e televisivo che lo rende uno degli uomini più ricchi al mondo, ma alla sua desta il Msi, che si rinomina Alleanza nazionale - apparentemente rinunciando all’armamentario vetero-fascista che fino ad allora ne aveva supportato l’esistenza e che aveva prestato il braccio a molte delle nefandezze ancora occultate nei misteri d’Italia che vanno dagli anni 60 agli 80 - ha da tempo trovato i suoi mentori, da Evola ad Alain de Benoist , che teorizzano l'esigenza di una destra “gramsciana” capace di prestare attenzione alla dimensione culturale e metapolitica, per rifondare se stessa e dar vita a un nuovo senso comune. E ciò a partire dalla convinzione che l'uomo è un animale simbolico che si identifica con la propria cultura e che la forma-partito non è da buttare ma da aprire alla società, usando anche (ma non solo) la dimensione culturale e massmediologica.
Così le destre hanno saputo proporsi come segno di rottura con il passato e con l’esistente intercettando il disagio e il malessere sociale e cogliendo il rumore di fondo, confuso e disordinato, di una società sempre più ripiega su se stessa, trasferendo questo disagio dai bisogni reale, materiali e quotidiani, verso l’immaginario consolatorio di un progetto piccolo borghese dove il valore della famiglia - mai istituzione fu più contaminata e deturpata da falsi valori - può ancora essere sventolato a baluardo del decadimento esterno.
La sinistra senza più ancoraggio alla sua storia è ormai precipitata in un assordante silenzio; non ha un progetto alternativo di società da mettere in campo né sa offrire risposte ai bisogni e ai disagi materiali, e la domanda sociale che si iscrive di diritto nella sfera della politica non ha più parole per essere detta mentre l'unico spazio pubblico legittimato è quello del consumo e del mercato.
Alla crisi del reale le destre offrono un’altra rappresentazione del reale: quella di orde di stranieri alle porte pronti al saccheggio e allo stupro, tacendo come il corpo violato delle donne è ormai orrore quotidiano nelle quattro mura delle nostre case.
Appare evidente come in questo passaggio, nel vuoto di valori sociali, gli elementi simbolici giocano a livello di comunicazione un ruolo fondamentale per destrutturate definitivamente ogni livello di risposta critica e di conflitto sociale di massa.
La forza ideologica del modello del consumo e dell’immaginario televisivo fatto di vacuità in grado di sollevare dall’insignificanza che le tv berlusconiane hanno diffuso per anni dentro una società che perdeva inesorabilmente le sue radici e credeva di aver raggiunto un benessere e una certezza di diritti definitiva, ha vinto alla grande.
Quello che ne esce è una governo della società che si fa forza delle paure e delle incertezze; un miscuglio pericolosissimo che si nutre del timore di essere allontanati sempre più dalla soglia dei garantiti. Paura che nel frattempo è diventata realtà nelle schiere di giovani donne e uomini precari e senza tutele e garanzie per il loro presente e il loro futuro.
La modernità che tutti nominiamo è alla fine proprio questo mix e le destre, Berlusconi, la Lega, gli epigoni del movimento sociale, presentandosi come coloro che vogliono rompere con l’ordine dato - come già avvenuto in altri momenti della nostra vicenda nazionale - hanno la capacità di interpretare la società nelle sue pieghe più complesse e oscure riproponendo un mito, un inganno che la gente non sa più riconoscere.
Il linguaggio banalizzante che svela il retroterra dove attinge la destra è quello più becero e basso che parla alla pancia della società. Evoca false identità ma parla di razzismo e di xenofobia. Pratica la caccia al diverso e l'aggressività nei confronti dei corpi. Il corpo come il luogo simbolicamente centrale di questo accanimento: la nascita, la morte, la sessualità, la maternità, la salute, l’invecchiamento, vicende, rimaste per secoli confinate nel privato e nella sfera personale, vissute come accadimenti particolari di ogni singola vita, diventano lo spazio pubblico su cui intervengono pesantemente i massimi poteri, lo Stato, la Chiesa, la scienza, il mercato, i media, spodestandoci persino di quella signoria sulla nostra vita che ci appartiene per nascita. Tutto questo ha a che fare con ciò che politicamente è accaduto e sta accadendo in questo paese.
Così come la violenza e la volgarità del linguaggio, specialmente contro le donne, ci parlano e divengono radice e metafora di ogni altra violenza. Il silenzio delle sinistre, e purtroppo anche delle donne, le legittima, mentre esprime debolezza e subordinazione ideologica. Questa indifferenza e incapacità di un agire efficace, stanno a significare una sudditanza che ha le sue radici in un retroterra comune che nessuna cultura di sinistra ha mai osato intaccare e tanto meno sovvertire, quella dell'ordine maschile e patriarcale che presiede agli assetti politico - sociali.
La strategia delle destre nei confronti della donna, da una parte, richiama atteggiamenti e ideologie " protezioniste " dando fondamento a un'idea di stato paterfamilias, in cui la donna è ricacciata nelle logiche di un familismo falsamente tutelato e garantito, dall’altra viene sbandierata una illusoria emancipazione femminile che passa attraverso parti anatomiche esposte senza orrore di sé; un velinismo cortigiano e greve che niente ha a che vedere con la liberazione sessuale né con l’erotismo e tanto meno con la libertà femminile ma solo con l’idea di dominazione ed esercizio di potere maschile. L’immaginario e l’immagine del corpo femminile e dunque l’identità fondante di ognuna è ormai sostituita da una rappresentazione grottesca, volgare e umiliante che sta sotto lo sguardo di tutti senza che vi sia un'adeguata reazione, nemmeno da parte delle donne stesse. A questo proposito si può guardare il deflagrante documentario di Lorella Zanardi, il cui titolo è appunto Il corpo delle donne, facilmente rintracciabile su internet.
Di questa violenza di questo antifemminismo viscerale, Berlusconi, seduttore ammalato di esibizionismo virilistico fa sfoggio senza alcun pudore, sicuro di essere lo specchio in cui i veri uomini possono rimirarsi e riconoscersi.
" Ogni società è essenzialmente e prima di ogni cosa istituzione di figure di senso, creazione di uno schema di coesistenza, un insieme di significati che permettono di dare un posto agli esseri naturali e agli oggetti " (Castoriadis).
Quale società è dunque la nostra in cui l’orgia del consumo, la perdita dell'orizzonte della trasformazione, il venir meno di qualsiasi mediazione sociale e simbolica, la caduta del linguaggio, fanno emergere come unica logica incardinatrice del mondo la categoria della dominazione che, questo paese, con complicità e compiacenza, ha affidato nelle mani di un sovrano incontenibile che divora con la sua dilagante potenza mediatica ed economica ogni residuo di democrazia?
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