amorino alato

amorino alato
C’era in lei, tuttavia, un angolo segreto dove non arrivava il riverbero di nessuna luce. Da lì veniva quella voglia di tenere a bada il corpo e la materia che gli dava forma; lì fluttuavano profumi intensi e dolcissimi, e fruscinìo di sete leggere e il seno bianchissimo di Rosa la Parda. Lì, coltivava il giardino di un’altra vita che ogni tanto, a occhi chiusi o nel sonno, andava a visitare.(Amore Anomalo - daniela frascati)

mercoledì 7 agosto 2013

NUDA VITA – Un commento/recensione di Silvia Longo

NUDA VITA – Un commento/recensione di Silvia Longo

Ho un romanzo, da qualche giorno, tra le mani. L’ho letto con lentezza voluta, come si deve a un libro scritto con così tanta cura: “Nuda vita” di Daniela Frascati, Absolutely Free Editore.

Narra la storia di Delfina, una ragazza in coma da alcuni mesi. In particolare, si trova in quello stato che i medici chiamano minimal responsive, e nel quale il soggetto a volte risponde alle stimolazioni provenienti dall’esterno, dimostrando – sebbene non con certezza assoluta e in maniera discontinua – di essere in qualche modo cosciente di quanto lo circonda. Potrebbe addirittura svegliarsi, e in qualsiasi momento.
Al capezzale di Delfina si alternano in visita parenti, amici, il fidanzato, una fisioterapista capace di grande empatia. Con il loro agire e parlare, creano un vero e proprio teatro della vita, sul cui proscenio ogni personaggio mette a nudo le proprie fragilità, il coraggio, le piccinerie, la disposizione all’ amore vero, le paure segrete. Tra tutti spicca il personaggio di Fiore, madre di Delfina, donna che intende la vita come una battaglia continua, e che fatica più di chiunque altro ad accettare le condizioni il cui la figlia versa.
Molti di loro tentano di stimolare Delfina, toccandola, parlandole, facendole magari respirare un profumo. Cercano cioè di utilizzare il meccanismo dei sensi e della memoria per riportarla da questa parte della vita. Delfina, però, si arrocca in una dimensione tutta sua. Un Altrove in cui si rintana sempre più in profondità, come felicemente dimentica di tutto. Un nascondiglio morbido che Delfina sente di dover rafforzare e portare alla perfezione dell’inespugnabilità, perché a volte gli stimoli dall’esterno tentano di ricondurla al proprio corpo. È dalla nostalgia per la vita che deve difendersi, dalla dolcezza di certe memorie, per restare in quella nicchia che scopre lentamente in ogni dettaglio. Lì, concentrata su se stessa, e sul proprio sonno nel quale si identifica, sa che

“fuori c’è dolore e dispersione. Per questo, prima, ero sempre e ovunque inconclusa e affamata d’amore”.

Sorge graduale il sospetto che Delfina non voglia svegliarsi. Che preferisca lo sprofondo progressivo in quella dimensione di latenza. Qualcosa della sua esistenza trascorsa deve averla delusa, umiliata, ferita a morte per condurla a tale arrocco. Tutto ciò verrà svelato nel corso della narrazione, serratissima, che alterna capitoli in cui Delfina parla con se stessa, in un soliloquio di rara compiutezza formale, a capitoli in cui un narratore esterno ci presenta i vari visitatori della giovane e le loro maniere, attraverso un uso sapiente del dialogo.
Il finale è un “colpo di coda”: sorprende davvero, perché è lontano mille miglia dalla rosa di conclusioni possibili che il lettore può aver immaginato.

Questo romanzo ci offre una visione disincantata della vita (definita “nuda”, per l’appunto), ma è denso di compassione. Non vi si riscontra giudizio alcuno, da parte dell’autrice, né l’intento di catturare il lettore con scaltri espedienti di mestiere. Si percepiscono semmai una grande dedizione e un rispetto autentico per la letteratura. È quello che io amo definire un romanzo onesto, negli intenti e nella forma. Daniela Frascati dimostra di conoscere bene la pasta con cui è forgiata l’umanità, e di sapere cosa siano il dolore, il disincanto, l’amore. E, soprattutto, di saper scrivere con precisione, con densità di senso, con passione e cura del dettaglio.
Più di un passaggio mi ha colpito per nitore e bellezza. Questo è solo un assaggio, una piccola perla di dolore descritto a meraviglia:

“Anche la mia sofferenza è di ottima fattura. Così perfetta che non ne esco mai. Neanche nell’amore, o quando credo di essere amata”.