amorino alato

amorino alato
C’era in lei, tuttavia, un angolo segreto dove non arrivava il riverbero di nessuna luce. Da lì veniva quella voglia di tenere a bada il corpo e la materia che gli dava forma; lì fluttuavano profumi intensi e dolcissimi, e fruscinìo di sete leggere e il seno bianchissimo di Rosa la Parda. Lì, coltivava il giardino di un’altra vita che ogni tanto, a occhi chiusi o nel sonno, andava a visitare.(Amore Anomalo - daniela frascati)

martedì 30 novembre 2010

LA GRANDE DORMITA

LA GRANDE DORMITA
Daniela Frascati (2007)




La mattina era chiara e serena come solo le mattinate in California sanno essere.
Quella nebbiolina speciale che vi avverte inequivocabilmente che siete a Bay City, all'alba di una bella giornata di tarda primavera, era già evaporata e dalle vetrate del mio ufficio in Falkland Street entrava una luce netta e pulita.
Io me ne stavo sprofondato nella scalcinata poltrona dietro la scrivania, i piedi poggiati sulle scartoffie polverose accatastate lì da giorni.
Meditavo sulle mie sventure. Pareva che a Los Angeles tutti fossero diventati angioletti.
Me la passavo decisamente male, erano ormai settimane che masticavo hot dog dal vago sapore di caucciù e mi sciacquavo le budella con whisky di terz’ordine.
Mi calai il cappello sugli occhi, tutta quella luce mi spiazzava i pensieri. Considerai che non valeva la pena continua¬re a consumare le suole dei miei vecchi mocassini in giro per Beverly Hills.
Così mi abbandonai a quella sonnacchiosa malinconia consolatoria che ti fa pensare che la vita è fondamentalmente una sciagurata trappola per topi, dove il topo che arriva per primo non è sicuramente il più lungimirante.
Cinque minuti dopo il campanello della porta della sala d'aspetto mi fece sobbalzare sulla poltrona.
- Philip Morbowe, l'investigatore, è lei? - fece entrando, il tipo smilzo con due baffetti antipatici stampigliati sotto il naso.
- Accidenti se sono io! - risposi - Nessun altro con un po' di buon senso potrebbe accollarsi un'incombenza così ingrata come la mia vita.
- Ve l'ha mai detto nessuno che i clienti non vi cercano per le vostre facezie? - disse il tizio mentre esaminava puntigliosamente la stanza.
Mi alzai prontamente in piedi e corsi a liberare la poltroncina di fronte alla scrivania.
- Sono Max Dalemat - si presentò - Avreste niente in contrario a un passaggio di proprietà? - e mi fece sventolare sotto il naso un verdone talmente impeccabile che sembrava stampato in una lavanderia cinese.
- Nelle mie tasche quel biglietto avrebbe sussulti di solitudine !
- Se è solo questo il problema, rimediamo immediatamente - disse Max Dalemat e, come per miracolo, nella sua mano perfettamente curata, di verdoni ne comparvero un bel mazzetto.
Se voleva stupirmi c'era perfettamente riuscito. Quel tipo troppo azzimato, che tutt'al più poteva gestire una bottega di barbiere in Darkness Street sembrava avere più soldi di un giocatore d'azzardo in pensione.
Ma non battei ciglio e mi limitai a sorridere.
- D'accordo, date qua e spiegatevi meglio - e tesi la mano per facilitare quel passaggio che avevo rischiato di mandare miseramente in fumo per la mia dabbenaggine.
- Non mi piacete Philip Morbowe - scandì Max Dalemat fis-sandomi dritto negli occhi - fosse per me non vi affiderei neanche il mio bastardino nell'ora del bisogno, ma ho avuto l'incarico di rivolgermi a voi. - Così dicendo trasse dalla tasca una busta giallina e me la porse fissandomi con quegli occhietti furbi e impenetrabili.
Dentro c'era un biglietto dove era segnata un'ora, un indirizzo ed una frase priva di qualsiasi senso logico e la foto sfocata e malferma di una ragazza over size.
- Di solito mi si fa sapere almeno per chi dovrei lavorare e anche il perché - dissi guardando quella foto che non mi diceva proprio niente.
- Faccia conto che un uomo molto importante abbia perso qualcuno che le è caro e lei glielo debba ritrovare. - tagliò corto Max Dalemat.
                                         
 Sotto la facciata della casa - albergo per giovanette si celava inequivocabilmente un casino di infimo ordine, me ne accorsi dopo un'oretta che posteggiavo sul marciapiede di fronte.
All'ora stabilita nella missiva che mi aveva passato Max Dalemat ero puntualissimo davanti alla porta del villino. Feci squillare un campanello che risuonò a lungo nelle mie orecchie prima che una donnetta trasandata e scialba venisse ad aprirmi.
- Giorno d'affitti - dissi senza saper quale intonazione dare a quelle parole che potevano voler dire tutto e di più.
- Cosa volete? - domandò con voce inespressiva la donna.
- Ho un appuntamento qui per le cinque.
- Il vostro nome?
- Mi chiamo Morbowe, ma dovete avvertire che sono qui perché è giorno d'affitti.
- Qui è giorno d'affitti a ogni ora - borbottò la donna mentre si allontanava traballando.
Ero lì che aspettavo qualcuno che non sapevo chi fosse e cosa dovesse farmi sapere, ma nessuno si faceva vivo. Intanto mi guardavo intorno senza curiosità. Quei luoghi finivano con l'essere tutti ugualmente squallidi e privi di qualsiasi attrattiva. A un certo punto un odore acre e pungente mi prese alla gola. Poi un fumo denso invase il mio cervello e anche i miei pensieri cominciarono a galleggiare in quella specie di melma grigia.
Mi risvegliai dopo un'infinità di tempo, un po’ stordito ma soprattutto alleggerito da quanto avevo nelle tasche compreso i proiettili della mia " trentotto " e i verdoni con i quali mi aveva pagato Max Dalemat.
La casa ora appariva più vuota e silenziosa che mai, non c'avevano messo molto a darsela a gambe.
Ficcai la testa sotto un rubinetto e lasciai che l'acqua facesse il suo effetto.
Mi diressi verso una porta che dava sul retro della casa e nell'aria tiepida della sera presi a scendere il pendio della collina. Appena giunto sulla provinciale fermai la prima auto che mi capitò a tiro.
Non potevo fare scelta migliore. Era una vecchia Cadillac della polizia.
Il tenente Bob Brown e il suo aiutante un giovanotto segaligno con gli occhi esaltati mi squadrarono da capo a fondo.
- Ehi Morbowe ci avevano detto che ti eri cacciato nei guai in quella fumeria sulla collina! - mi apostrofò Brown.
- Come corrono le notizie in questo posto ! - dissi mentre mi accomodavo sul sedile posteriore e mi accendevo una sigaretta aspirandone lentamente il fumo - Peccato che vi abbiano dato un'informazione sbagliata ragazzi. Non ho fatto in tempo a mettermi nei guai, quando sono arrivato, gli uccellini avevano già preso il volo.
- Portandosi via anche la ragazza, naturalmente - ghignò Brown.
Non feci una piega, ma il tenente era troppo furbo e smali-ziato per non cogliere l'esitazione impercettibile che ebbi nel portarmi la sigaretta alla bocca.
- Che cosa vi ha lasciato intendere quel bell'imbusto che è venuto a trovarvi oggi Phil?
- La solita storia che vengono a dire a Philip Morbowe. Il solito ricatto, il solito riccone, tutto nella norma tenente; poi magari un amico poliziotto mi fa capire che è qualcun altro che devo cercare !
- Eh la vita è dura per i troppo buoni, Morbowe! Quel Max Dalemat si è servito di voi per fare arrivare quel mucchio di soldi alla banda che gestisce il casino e la fumeria, ma la ragazza chissà che fine avrà fatto ?! - una frenata brusca inchiodò la macchina proprio davanti al mio ufficio in Falkland Sreet e mentre scendevo ringraziando con un cenno della mano, il secco Mc Russian mi urlò dal finestrino.
- Fossi in voi cercherei di una certa Rosita Bandana, ha una bella voce, e dicono somigli in modo incredibile a .... - e lo stridio di una sgommata da maestro coprì l'ultima parola.
Salii di corsa e mi chiusi nell’ufficio.
Mi versai un doppio whisky tanto per rimettere ordine nella mia testa e rimasi seduto alla scrivania a lungo.
Nel palazzo scendeva il silenzio della sera. Mi alzai e passai nello stanzino da bagno. Ficcai di nuovo la testa sotto il rubinetto dell'acqua fredda, mi riannodai la cravatta e uscii nella notte profumata di verbena.
                                    
A mezzanotte avevo già fatto il giro di un numero infinito di night club; non avevo le idee ben chiare, non sapevo con esattezza chi cercare, né dove.
Al 144 di Idaho Street c'era il " Soul House " un localino molto intimo e ben frequentato di proprietà di un tipo equivoco, un certo Bert Luscon, che da giovane aveva cantato sui battelli lungo il Mississippi, truccato da nero.
Il cartellone fuori dal locale riportava a grosse lettere un nome Rosita Bandana.
Quando feci il mio ingresso l'orchestra suonava una motivo romantico e carico d'atmosfera. L'occhio di bue illuminava un tendaggio di velluto azzurro. Tutti gli sguardi erano puntati in quella direzione, anche quello di Max Dalemat che sedeva a un tavolo in prima fila. Feci per avvicinarmi ma nello stesso momento da dietro la tenda una voce intonò una nota rauca e sensuale.
Un attimo dopo la cantante era sul palco illuminato da un violento cono di luce.
Max Dalemat era terreo e pareva aver visto un fantasma. Cantava una canzone che parlava di un lungo addio con straordinaria intensità senza staccare gli occhi di dosso da Max Dalemat.
Gli uomini pendevano dalle sue labbra ma lei pareva cantare per uno solo.
La nota finale precipitò da un'altezza vertiginosa con uno rumore secco che fece accasciare sul tavolo Max Dalemat.
- Che mi prenda un accidente - pensai guardando la ragazza robusta inguainata in un vestito di raso carminio - che stupido, come non l'ho capito subito, ma è la giovane della foto che mi ha mostrato quel Max Dalemat?!
La finta Rosita Bandana non si mosse, era rimasta come impietrita, nella mano stringeva una piccola rivoltella di madreperla.
Il giovanotto che mi aveva dato l'incarico di ritrovarla era stato freddato a bruciapelo. Provai una certa commiserazione, i morti non mi lasciavano indifferente.
- Siamo arrivati tutti e due troppo tardi Morbowe, - disse alle mie spalle la voce familiare del tenente Bob Brown - Max Dalemat ha fatto chiaramente il doppio gioco. Era il braccio destro del Governatore Prodigy. Ultimamente questa torbida vicenda di sua figlia Rosy che era scomparsa da casa e che qualcuno aveva trascinato in brutta storia di droga e di sesso lo aveva sconvolto creandogli gravi problemi per la sua carica. Bert Luscon, che vuole candidarsi al suo posto ha architettato il tutto per coinvolgere Roman Prodigy in uno scandalo e Max Dalemat si è messo al suo servizio. Tutti quei dollari che Dalemat vi aveva lasciato credere dovessero servire a pagare il riscatto per liberare la ragazza, erano invece il prezzo per farla trovare cadavere nella fumeria sulla collina, magari in guêpière e imbottita di droga. Per qualche motivo non sono riusciti ad attuare il loro piano e Rosy si è vendicata e sostituendosi alla cantante Rosita Bandana. Ha sistemato la faccenda nell'unico modo possibile. Di là nel camerino abbiamo trovato la vera Rosita Bandana legata e incerottata e accanto a lei il cadavere ancora caldo di Bert Luscon. Il caso è chiuso Morbowe. Noi due non abbiamo fatto una gran bella figura. Ma ... domani per fortuna è un altro giorno.
Lanciai un occhiata di traverso al tenente Brown, mi rialzai il bavero della giacca e uscii nella notte, il buio era talmente nero che un brivido mi corse per la schiena. Avevo voglia di farmi una grande dormita.

mercoledì 24 novembre 2010

NUDA VITA - Romanzo di Daniela Frascati

NUDA VITA


"Quello, era Delfina: un corpo scempiato dal dolore e ritirato nel silenzio, tanto da cancellare persino il confine tra vita cosciente e morte in vita, lasciandola come una nuda vita in balia di tutti, un territorio di nessuno, sacro, ma allo stesso tempo violabile perché al di fuori di ogni legislazione."







Il corpo è quello di una ragazza qualunque, Delfina, che in seguito ad un incidente stradale entra in quel sonno profondo di cui non è dato sapere nulla.
Chi rimane sveglio invece sono tutte le persone che dall’altre parte, in una stanza di ospedale, le ruotano intorno con un solo imperativo categorico: farla svegliare.
E se fosse proprio lei a non volersi svegliare?
Da una parte, i pensieri e le visioni di una giovane donna in coma.
Dall’altra, la girandola di amici, parenti e familiari che si affollano sul guscio apparentemente vuoto della protagonista.
Un'opera struggente di Daniela Frascati, che esplora su un duplice binario la vita e ciò che di essa rimane.

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domenica 21 novembre 2010

L'ASCESA E IL SILENZIO

L’ASCESA E IL SILENZIO
Daniela Frascati  (2008)       
Non possiamo essere sorpresi che le destre siano oggi al governo del Paese. La loro ascesa viene da lontano e ciò che stupisce è che invece a sinistra nessuno abbia saputo cogliere i segnali che erano manifesti fin dalla cosiddetta “discesa in campo” di Berlusconi.
L’inizio lo possiamo intravedere già nei “favolosi” anni 80 di craxiana memoria quando un governo megalomane faceva galoppare il debito pubblico alla velocità della luce e delle mazzette, distribuendo prebende e favori e rendendo i nuovi ricchi ingrassati e felici e i nuovi poveri incazzati e depredati ma sempre più soli e lontani da coloro che avrebbero dovuto rappresentare i loro bisogni.
Sono questi gli anni dell’ascesa di Berlusconi come tycoon delle televisioni. Padrone indiscusso di  un apparato di persuasori più o meno occulti dove le cose e le persone stanno assieme trascinate dalla fascinazione immateriale della comunicazione visiva che attraversa capillarmente la società: un brusio e uno sfarfallio di immagini che intercettano continuamente il bisogno di un’identità individuale e sociale che si sta sfaldando. 
Anni che sono stati un passaggio epocale dove  la fine di un lungo ciclo tecnico e organizzativo di accumulazione del capitale coincide, non casualmente, con  il venir meno  delle grandi battaglie che hanno fatto la storia  del movimento operaio.
L’appartenenza di classe non si salda più all’esperienza di vita di coloro che dividono la stessa condizione, anzi, in  una società dove la competizione sociale viene promossa come affrancamento dalla “mediocrità” che trattiene nell’insignificanza, è un armamentario obsoleto che frena la dinamica sociale. Una categoria che va cancellata dal vocabolario della politica e, dentro questa nuova solitudine sociale, il lavoro è ricacciato sempre più nella primitiva condizione di lavoro sottoposto in cui il comando sul lavoro torna a identificarsi col comando sulla persona che lavora. In questa debolezza il conflitto viene frantumato al suo nascere e ridotto a espressione indifferenziata del disagio e della sofferenza individuale di donne e uomini. Un linguaggio spezzato che trasmette miseria simbolica e impoverimento critico.
In questo silenzio si consuma  la dissoluzione di  quel senso comune di sinistra che aveva attraversato l’intera società italiana del dopo guerra con le sue istanze civili e democratiche.
Se l’egemonia si costruisce a partire dalla capacità di conquistare l’adesione a un progetto politico e culturale condiviso e partecipato e si riproduce come influenza materiale e immateriale, capace di permeare le istituzioni più vitali e potenzialmente creative di una società, come non accorgersi che Berlusconi possedeva concretamente  proprio gli strumenti  più adeguati con cui manipolare e governare una società civile ormai allo sbando? Tanto più che questo  emergere dell’antipolitica si manifesta quando ormai il sistema produttivo del fordismo-taylorismo ormai al tramonto  aveva già compromesso la capacità della classe operaia di agire e dispiegare il suo antagonismo non solo all’interno della fabbrica ma anche nella società e, perduto questo baricentro, viene meno anche quel senso comune di sinistra che comincia a sbandare verso un’accettazione passiva e acritica dell’esistente.  
Ciò che è avvenuto e di cui i partiti della sinistra sembrano non accorgersi è  un mutamento profondo della società.  Uno svuotamento di valori e di senso dentro un’incertezza economica sempre crescente  che va di pari passo con  la loro incapacità, anche quando sono al  governo, di rispondere ai bisogni della gente, intanto che Berlusconi, ma anche la destra di discendenza fascista, consolidano la loro “presa” del potere, conquistando le istituzioni ma anche la testa della gente. Berlusconi è il leader indiscusso e può darsi in pasto al popolo come self made man che ha creato un impero economico e televisivo che lo rende uno degli uomini più ricchi al mondo, ma alla sua desta  il Msi, che si rinomina Alleanza nazionale - apparentemente rinunciando all’armamentario vetero-fascista che fino ad allora ne aveva supportato l’esistenza e  che aveva prestato il braccio a molte delle nefandezze ancora occultate nei misteri d’Italia che vanno dagli anni 60 agli 80 -  ha da tempo trovato i suoi mentori, da Evola ad Alain de Benoist , che teorizzano l'esigenza di una destra “gramsciana” capace di prestare attenzione alla dimensione culturale e metapolitica, per rifondare se stessa e dar vita a un nuovo senso comune. E ciò a partire dalla convinzione che l'uomo è un animale simbolico che si identifica con la propria cultura e che la forma-partito non è da buttare ma da aprire alla società, usando anche (ma non solo) la dimensione culturale e massmediologica.
Così  le destre hanno saputo proporsi   come segno di rottura con il passato e con l’esistente intercettando  il disagio e il malessere sociale e cogliendo il rumore di fondo, confuso e disordinato, di una società sempre più ripiega su se stessa, trasferendo questo disagio dai bisogni reale, materiali e quotidiani, verso l’immaginario consolatorio di un progetto piccolo borghese dove il valore della famiglia - mai  istituzione fu più contaminata e deturpata da falsi valori  -  può  ancora essere sventolato a baluardo del decadimento esterno.
La sinistra senza  più ancoraggio alla sua storia è ormai precipitata in un assordante silenzio; non ha un progetto alternativo di società da mettere in campo né sa offrire risposte ai bisogni e ai disagi materiali, e la domanda  sociale  che  si iscrive di diritto  nella  sfera  della politica non ha più parole per essere detta mentre l'unico spazio pubblico  legittimato è quello del consumo e del mercato.
Alla crisi del reale le destre offrono un’altra rappresentazione del reale: quella di orde di stranieri alle porte pronti al saccheggio e allo stupro, tacendo come il corpo violato delle donne è ormai orrore quotidiano nelle quattro mura delle nostre case.
Appare evidente come in questo passaggio, nel vuoto di valori sociali, gli elementi simbolici giocano a livello di comuni­cazione un ruolo fondamentale per destrutturate definitivamente ogni livello di risposta critica e di conflitto sociale di massa. 
La forza ideologica del modello del consumo e dell’immaginario televisivo fatto di vacuità in grado di sollevare dall’insignificanza che le tv berlusconiane hanno diffuso per anni dentro una società che perdeva inesorabilmente le sue radici e credeva di aver raggiunto un benessere e una certezza di diritti definitiva, ha vinto alla grande.
Quello che ne esce è una governo della società  che si fa forza delle paure e delle incertezze; un miscuglio pericolosissimo che si nutre del timore di essere allontanati sempre più dalla soglia dei garantiti. Paura che nel frattempo è diventata realtà nelle schiere di giovani donne e uomini precari e senza tutele e garanzie per il loro presente e il loro futuro.
La modernità che tutti nominiamo è alla fine proprio questo mix e le destre, Berlusconi, la Lega, gli epigoni del movimento sociale, presentandosi come coloro che vogliono rompere con l’ordine dato - come già avvenuto in altri momenti della nostra vicenda nazionale - hanno la capacità di interpretare la società nelle sue pieghe più complesse e oscure riproponendo un mito, un inganno che la gente non sa più riconoscere.
Il linguaggio  banalizzante che svela  il retroterra  dove attinge la destra è quello più becero e basso che parla alla pancia della società. Evoca false identità ma parla di razzismo e di xenofobia. Pratica la caccia al diverso e l'aggressività nei confronti dei corpi. Il corpo come il luogo simbolicamente centrale di questo accanimento: la nascita, la morte, la sessualità, la maternità, la salute, l’invecchiamento, vicende, rimaste per secoli confinate nel privato e nella sfera personale, vissute come accadimenti particolari di ogni singola vita, diventano lo spazio pubblico su cui intervengono pesantemente i massimi poteri, lo Stato, la Chiesa, la scienza, il mercato, i media, spodestandoci persino di quella signoria sulla nostra vita che ci appartiene per nascita. Tutto questo ha a che fare con ciò che politicamente è accaduto e sta accaden­do in questo paese.
Così come la violenza e la volgarità del  linguaggio, specialmente contro le donne, ci parlano e divengono  radice e metafora di ogni altra violenza. Il silenzio delle sinistre, e purtroppo anche delle donne, le legittima, mentre  esprime debolezza  e subordinazione ideologica. Questa indifferenza e incapacità di un agire efficace,  stanno  a significare una sudditanza che ha le  sue radici in un retroterra comune che  nessuna cultura di sinistra ha mai osato intaccare e tanto meno sovvertire, quella  dell'ordine maschile e patriarcale che presie­de agli assetti politico - sociali.
La strategia  delle destre nei confronti  della donna, da una parte, ri­chiama atteggiamenti e  ideologie " protezioniste "  dando fondamento a un'idea di stato paterfamilias, in cui la donna  è  ricacciata nelle logiche di un familismo falsamente tutelato  e garantito, dall’altra  viene sbandierata una illusoria emancipazione femminile che passa attraverso  parti anatomiche esposte senza orrore di sé;  un velinismo cortigiano e greve che niente ha a che vedere con la liberazione sessuale né con l’erotismo e tanto meno con la libertà femminile ma solo con l’idea di dominazione ed esercizio di potere maschile. L’immaginario e l’immagine  del corpo femminile e dunque l’identità fondante di ognuna è ormai sostituita da una rappresentazione grottesca, volgare e umiliante che  sta sotto lo sguardo di tutti senza che vi sia un'adeguata reazione, nemmeno da parte delle donne stesse. A questo proposito si può guardare il deflagrante documentario di Lorella Zanardi, il cui titolo è appunto Il corpo delle donne, facilmente rintracciabile su internet.
Di questa violenza di questo antifemminismo viscerale, Berlusconi, seduttore ammalato di esibizionismo virilistico fa sfoggio senza alcun pudore, sicuro di essere lo specchio in cui i veri uomini possono rimirarsi e riconoscersi.
" Ogni società è essenzialmente e prima di ogni cosa  istituzione di  figure  di  senso, creazione di uno  schema  di  coesistenza, un insieme di significati che permettono di dare un posto  agli esseri naturali e agli oggetti " (Castoriadis).
Quale società è dunque la nostra in cui l’orgia  del consumo, la perdita dell'orizzonte della trasformazione,  il venir meno di qualsiasi mediazione sociale e simbolica, la caduta del linguaggio, fanno emergere come unica logica incardinatrice del mondo la categoria della dominazione  che, questo paese,  con complicità e compiacenza,  ha  affidato nelle mani di un sovrano incontenibile che divora con la sua dilagante potenza mediatica ed economica ogni residuo di democrazia?

venerdì 19 novembre 2010

La svolta di Pérez-Reverte «Ho trovato la mia Lolita»


 

L' autore abbandona eroi e corsari. E pesca nei ricordi d' infanzia


MADRID - Scacco all' eroe. Scacco al super uomo, triste, solitario y final. Scacco al seduttore, cinico e baro. Scacco a corsari, avventurieri, spadaccini. È arrivata Lolita nel mondo di Arturo Pérez-Reverte. La zia zitella dei suoi ricordi d' infanzia a Cartagena. Non particolarmente bella, né spregiudicata come la narcotrafficante Teresa Mendoza di Regina del sud, né misteriosa come Tanger, la cacciatrice di tesori sommersi della Carta sferica. Lolita Palma è una ottocentesca, ragionevole e giovane donna d' affari a Cadice, la città più liberale d' Europa, sotto l' assedio francese di due secoli fa. E rappresenta forse anche un punto di svolta nel percorso narrativo del suo autore, che accantona momentaneamente il Capitano Alatriste e i suoi fratelli, per osservare il mondo, la storia, la guerra, gli uomini e, soprattutto, il mare, con occhi femminili. Il che non significa romantici o irrimediabilmente sentimentali. «Ho 59 anni, da 25 scrivo romanzi. E adesso ho voluto fare un esperimento: il romanzo di tutti i miei romanzi. Non un romanzo totale, termine pedante, ma un libro in cui entrassero tanti generi: il thriller, l' avventura, la storia, l' amore, il mare, la scienza. Dove riecheggiassero, insomma, i miei libri precedenti, con tutti i miei trucchi e le mie esperienze» anticipa Pérez-Reverte. Il risultato ha un titolo, «L' Assedio» e già un posto in cima alle classifiche delle vendite nelle librerie spagnole. Mentre per l' edizione italiana, che uscirà fra otto giorni dall' editore Marco Tropea, è stato privilegiato nella scelta del titolo il cuore «giallo» della storia: la macabra partita di un assassino seriale di ragazze nella città bombardata. La perversa sfida de Il giocatore occulto attraversa, senza logica apparente, una Cadice che lotta per l' indipendenza, assediata dai francesi: «Ho scoperto da corrispondente di guerra il cambiamento delle città quando sono sottoposte a pressioni esterne. Le atmosfere che si creano e gli ambienti diventano molto interessanti - ricorda Pérez-Reverte - . Luoghi falsamente sicuri e confortevoli, che si possono espugnare con un cavallo di legno. Ho conosciuto città sotto assedio: Beirut, Nicosia, Sarajevo e ho visto come si modifica il comportamento delle persone, ho studiato la geometria del caos». Ma non ne è scaturito un romanzo storico: «La Storia mi serve da sfondo: la Spagna dominata dai francesi è in questo caso lo scenario che ho scelto per ambientare le vicende di una borghesia che muore, di un mondo gattopardesco che si consuma lentamente. Cadice, nel 1810, era ancora quello che sarebbe potuta diventare tutta la Spagna, se non avesse perso il treno della Storia: colta, progressista, libera dall' egemonia di re, preti e ministri. Una borghesia che commerciava, leggeva, studiava, conosceva varie lingue, viaggiava». L' eroe borghese, in questo caso, si chiama Lolita Palma, ed è una giovane donna cui il «padre aveva fatto studiare l' aritmetica, il cambio internazionale, la conversione di pesi, misure e monete straniere, e la contabilità e la partita doppia del commercio. Inoltre, parla, legge e scrive in inglese, e se la cava in francese. Dicono che sappia qualcosa persino di botanica, la piccina. Di piante, fiori e via dicendo». Ma, povera lei, ha già passato i trent' anni: «Peccato che sia rimasta zitella», è il vendicativo, liberatorio sollievo degli affettuosi pettegoli, distanziati nell' emancipazione. «Conosco quel mondo di chiacchiere - sorride lo scrittore -, è la storia della mia famiglia, nella borghesia di Cartagena. Il destino della zia nubile, di cui si parla la sera, in casa, bevendo il caffè». Finché non arriva un pronipote, Arturo Pérez-Reverte, a riscattarla e a riscriverne le sorti. La rivincita di una femminista in crinolina? «Per carità. Detesto gli anacronismi: una femminista a quel tempo, no. Mi sono sempre burlato del femminismo talebano - allude alle sue polemiche con Bibiana Aido, la ministra dell' Uguaglianza nel governo Zapatero -. Nubile e orfana di padre, Lolita Palma è una donna che si trova a dover farsi carico dell' eredità familiare. È una donna che lotta in un mondo di uomini, e capisce che deve giocare con regole maschili. Ma le donne vere non sono uomini travestiti». E infatti Lolita non perde il secolare vizio femminile di innamorarsi di un bel tenebroso: «Pepe Lobo è un seduttore; nella Spagna di oggi sarebbe un torero, un Cayetano Rivera» cerca paragoni con l' attualità l' autore. Nella fattispecie è un corsaro che, a differenza di quanto accade in altri romanzi di Pérez-Reverte, cede il timone dell' intreccio alla sua coprotagonista: è lei a condurre la partita. «Non è una novità - osserva lo scrittore -. Da sempre l' iniziativa corrisponde alle donne, sono loro a scegliere e a elaborare una relazione. L' uomo pone il territorio, ma chi lo arreda è lei. Però è vero che, dal punto di vista narrativo, l' eroe maschile è già troppo sfruttato. Si può solamente ripetere, combinando elementi già noti. L' eroe maschile, come il capitano Alatriste, può essere solo un eroe stanco. Di lui già sappiamo che cosa gli accadrà dopo la battaglia. La donna invece ha appena un secolo di esistenza letteraria: è lei adesso il personaggio più moderno e potente. È suo anche il giudizio più lucido». Racconta Pérez-Reverte che fu, ancora una volta, sua figlia Carlotta, oggi archeologa a Pompei, a illuminarlo sull' universo femminile: «Ad appena 7 anni, un giorno, mi riprese per qualcosa: però, papà!, disse con un tono di superiorità morale. Già sapeva che gli uomini sono creature disprezzabili. Da proteggere, perfino. Compresi che lo sguardo di una donna è diverso da quello dell' uomo e, da allora, mi sforzo di capire il mistero di quell' occhiata». Probabilmente una scrittrice avrebbe suggerito un finale diverso a Lolita, nelle cui vene scorre inevitabilmente il sangue di Falques, Il pittore di battaglie: «In quel romanzo c' è tutta la mia visione, cruda e pessimista, della vita. Ho raccontato come vedo il mondo e adesso non posso più rettificare. I miei personaggi successivi si muovono alla luce di quello che stabilì il pittore di battaglie. Mi impedisce di scrivere altro. Perché quando scrivo io mi limito a ricordare». Non può inventare, come il suo grande amico Javier Marías: «Un romanziere puro. Un grande amico. Da bambini leggevamo gli stessi libri: con una differenza, quelle storie lui voleva scriverle, e io viverle». RIPRODUZIONE RISERVATA **** La città Cadice nel 1810 era colta, libera dalla egemonia di re, preti e ministri, progressista **** Senza il «capitano» Il nuovo romanzo di Arturo Pérez-Reverte, «Il giocatore occulto», è in uscita da Marco Tropea editore (pp. 640, 20). Lo scrittore abbandona per ora il capitano Alatriste, protagonista di tante avventure tra cui «L' oro del re», «Il cavaliere dal farsetto giallo», «Corsari di Levante» **** L' amicizia Io e Marías da bambini abbiamo letto storie uguali. Lui voleva scriverle, io viverle

Rosaspina Elisabetta
(20 ottobre 2010) - Corriere della Sera


I colori di Susanna

9 novembre 2010  dal Blog di Luca Telese
I colori di Susanna 
susanna
Domenica Italo Bocchino viene accolto negli studi de La7 da una stoccata ironica di Enrico Mentana: “Stavolta l‘avete fatta davvero grossa…”. E il numero due di Futuro e libertà stupito: “Perché mai?”.  Mentana, serio: “Tu sai perché avete scelto il blu e il verde per il vostro simbolo?”. E Bocchino: “Erano due colori che non erano presi da nessuno… E poi trasmettono immediatamente due idee: il prato e il cielo. Cioè la natura e l’uomo, l’ambiente e la cultura…”. A questo punto Mentana è scoppiato a ridere: “Ma Italo, che dici?”. Si è voltato verso un plasma indicando il logo blu e verde scelto 3 mesi fa per il suo tg: “Guarda: chi lo ha disegnato ha copiato noi”. E Bocchino, ridendo scherza sullo share: “Se facciamo il 9% pure noi…”. Ma forse c’è un’altra fonte di ispirazione: avete mai visto il logo del mitico formaggino Susanna?
Luca Telese
 

La Via Lattea ha catturato un pianeta di un'altra galassia

Un caso di «cannibalismo galattico»

La Via Lattea ha catturato
un pianeta di un'altra galassia

Intercettata una corrente di stelle di una galassia nana già inglobata a 2 mila anni luce dalla Terra

Un caso di «cannibalismo galattico»
La Via Lattea ha catturato
un pianeta di un'altra galassia
Intercettata una corrente di stelle di una galassia nana già inglobata a 2 mila anni luce dalla Terra
MILANO
- Gli astronomi hanno scoperto il primo pianeta proveniente da un’altra galassia. Il risultato ottenuto da un gruppo di scienziati europei con il telescopio da 2,2 metri dell’Eso sulle vette di La Silla in Cile. La scoperta, riferita da Science, è importante per due motivi e ha risvolti intriganti. Innanzitutto dopo anni di delusioni nella caccia a pianeti extrasolari appartenenti a galassie che non fossero la nostra Via Lattea finalmente la cattura è arrivata. E ciò grazie a un comportamento di estrema violenza della nostra isola stellare la quale ha compiuto un atto di «cannibalismo galattico» come lo chiamano gli astronomi.
GALASSIA NANA - Nel cosmo è abbastanza frequente. Così è accaduto che abbia intercettato una corrente di stelle in viaggio nelle vicinanze e che l’imponente forza gravitazione della Via Lattea ha finito per divorare, inglobandole. Esse appartenevano a un galassia nana già «mangiata» dalla Via Lattea tra sei e nove miliardi di anni fa. Il secondo aspetto riguarda la stella (HIP 13044) e il suo pianeta catturati, che si trovano a 2 mila anni luce dalla Terra nella costellazione meridionale della Fornace. Si è infatti scoperto che l’astro-madre è una gigante rossa, cioè una stella alla fine della sua vita che già si è espansa dopo aver bruciato tutto l’idrogeno che la faceva brillare ed ora si alimenta con l’elio rimasto. È quello che succederà anche al nostro Sole fra circa 5 miliardi di anni decretando la morte della vita sulla Terra. Anzi ciò si verificherà molto prima, perché quando la stella muore espandendosi, lancia nello spazio un fiume di particelle e gas che spazzerebbero mortalmente l’ambiente terrestre. Inoltre lo spingerebbero anche più lontano.
FINE - Ora è stato osservato che il nuovo pianeta, simile come taglia e caratteristiche a Giove, è vicinissimo all’astro-madre. Ciò è attribuito all’espansione dell’astro e al suo contenuto effetto di spostamento. In conclusione, non solo si è scoperto il primo pianeta di un’altra galassia ma si è visto pure nella realtà quello che succederà in futuro al nostro sistema solare. Studiarlo, dunque, è una grande opportunità anche se questo non fermerà l’inesorabile fine: almeno ne conosceremo meglio i dettagli.
Giovanni Caprara
18 novembre 2010

giovedì 18 novembre 2010

Le mutilazioni genitali femminili

 

 

Le mutilazioni genitali femminili

Amnesty International

Per mutilazioni genitali femminili (MGF) si intende un insieme di pratiche rituali tradizionali presenti in molte comunità africane e asiatiche, connesse a riti d'iniziazione femminile e d'integrazione sociale, attraverso cui si effettua l'asportazione totale o parziale dei genitali femminili.

Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità ogni anno sarebbero circa due milioni le ragazze e bambine costrette a subirne le pesanti conseguenze, mentre si stima a 135 milioni il numero totale di donne e bambine mutilate nel mondo.

Tali pratiche, difese dalla comunità d'origine in nome della tradizione e spesso, per paura dello stigma sociale e dell'emarginazione, dalle stesse donne che le subiscono, rappresentano un gravissimo pericolo per l'integrità fisica e psicologica della donna: sono causa di emorragie, infezioni, traumi e, talvolta, di morte, poiché aumentano la probabilità di complicazioni durante il parto.

Oggi le mutilazioni genitali femminili sono osteggiate da gruppi e associazioni di attivisti in tutto il mondo in quanto considerate una grave forma di violenza, oltre che un brutale strumento di controllo della sessualità femminile, che permette il perpetuarsi della condizione discriminatoria che molte donne vivono all'interno delle loro comunità.

Le MGF rappresentano un'esplicita violazione dei diritti umani delle donne, così come sono stati formulati nei vari trattati internazionali, cui gli Stati responsabili sono chiamati ad adeguare le loro legislazioni interne.

Un recente rapporto di Amnesty International sulle MGF in quattro paesi africani (Benin, Gambia, Ghana e Senegal) ha evidenziato la difficoltà di intervento su una realtà complessa, in cui diverse dimensioni sociali si sovrappongono: una strenua resistenza alla loro abolizione proviene, infatti, dalle numerose donne specializzate nel praticare l'operazione, per le quali le MGF rappresentano una sicura e cospicua fonte di reddito oltreché il riconoscimento di un apprezzato status sociale, in contesti in cui la maggioranza delle donne è normalmente condannata alla povertà e all'esclusione.

Cile, 33 donne in sciopero della fame 900 m. sottoterra

 

 

Cile, 33 donne in sciopero della fame 900 m. sottoterra

 Sciopero della fame 900 metri sotto terra. E' la protesta organizzata da 33 donne che si sono calate in fondo ad una miniera in disuso, in un sito chiamato Chiflon del diablo (Spiffero del diavolo) per difendere il lavoro nelle zone colpite il 27 febbraio febbraio dal terremoto e dallo tsunami. Il gruppo ha dichiarato di rappresentare piu' di 12mila abitanti del centro-sud del Cile ed e' composto da 33 donne, che hanno deciso di ispirarsi ai 33 minatori rimasti bloccati nella miniera di San Jose' per piu' di due mesi. La miniera di carbone "occupata" e' utilizzata oggi come luogo per visite turistiche. Il quotidiano "La Nacion" ha riferito che il gruppo ha scritto una lettera in cui lamenta la mancata risposta delle autorita' alle loro richieste, e dice che tutte le donne sono in buona salute. (AGI)

Per scegliere serve il cervello "antico"

studio dell’Università di Milano e della Fondazione IRCCS Ca’ Granda

Per scegliere serve il cervello "antico"

Il subtalamo, piccola e antica struttura anatomica
che l'uomo ha in comune con moscerini, rane e uccelli,
è implicato nei processi decisionali che generano conflitto

studio dell’Università di Milano e della Fondazione IRCCS Ca’ Granda
Per scegliere serve il cervello "antico"
Il subtalamo, piccola e antica struttura anatomica
che l'uomo ha in comune con moscerini, rane e uccelli,
è implicato nei processi decisionali che generano conflitto
MILANO - Ce l'hanno i moscerini, le rane e gli uccelli. È una piccola e antica parte del cervello, grande come una lenticchia, ma è in grado di fare la differenza quando si devono prendere decisioni morali molto combattute. Sotto la lente di un gruppo di scienziati milanesi è finito il subtalamo. Gli esperti hanno scoperto che è implicato nei processi decisionali che generano conflitto. Lo studio, pubblicato online sulla rivista Social Neuroscience, è stato condotto da ricercatori (neurologi, psicologi, neurochirurghi, ingegneri) dell'Università degli Studi di Milano e del Policlinico, guidati da Alberto Priori, in collaborazione con l'Istituto neurologico Carlo Besta, l'Irccs Galeazzi e l'Istituto neurologico Mondino di Pavia. Gli scienziati hanno osservato che nelle profondità del cervello umano c'è una piccola struttura che si attiva in particolare quando le persone devono fare scelte difficili. Per approfondire il ruolo del subtalamo sono stati reclutati 16 pazienti nei quali, per altre patologie, erano stati impiantati elettrodi millimetrici all'interno del cervello. Strumenti che hanno consentito di registrare l'attività dei neuroni nel corso di test condotti in un laboratorio di psicologia sperimentale. Obiettivo del gruppo di ricerca: capire in che modo il subtalamo è coinvolto nelle decisioni morali conflittuali, che ruolo svolge nell'orientare e guidare il comportamento da un punto di vista sociale e relazionale con i nostri simili.
L'ESPERIMENTO - Ai pazienti venivano presentate sullo schermo di un computer delle frasi, alcune neutre (come "il sonno è un elemento necessario alla vita", "il violino è il più piccolo strumento ad arco"), altre morali non conflittuali ("tutti gli uomini hanno il diritto di vivere", "i malati hanno il diritto di essere curati") e altre morali conflittuali ("alcuni reati devono essere puniti con la pena di morte", "l'aborto è ammissibile quando il feto è malato") e veniva richiesto al paziente di esprimere il proprio accordo o disaccordo. Durante l’esecuzione del compito, dagli elettrodi in profondità veniva registrata l’attività elettrica del subtalamo. I risultati hanno dimostrato che questo si attiva specificamente durante la lettura e la valutazione delle frasi morali conflittuali e che quindi è importante per le decisioni successive. «I risultati di questi esperimenti dimostrano per la prima volta il ruolo del subtalamo nei processi decisionali che generano un conflitto - spiega Manuela Fumagalli, ricercatrice presso l’UO di Neurofisiologia della Fondazione IRCCS Ca' Granda Policlinico, che ha preso parte allo studio -. Tutto ciò, oltre ad essere importante per la comprensione neurofisiologica dei processi decisionali, è rilevante per sviluppare nuovi approcci terapeutici a disturbi come lo shopping compulsivo, il gioco d’azzardo patologico, l’ipersessualità. Così come per studiare più a fondo l’eventuale capacità decisionale in pazienti con ampie lesioni della corteccia cerebrale».

http://www.corriere.it/salute/10_novembre_17/cervello-antico-decisioni_4abf0004-f241-11df-a59d-00144f02aabc.shtml

mercoledì 17 novembre 2010

La bomba a Brescia l’ha messa il Diavolo

La bomba a Brescia l’ha messa il Diavolo
di Andrea Pomella dal suo Blog
 
Hanno assolto tutti. Ora nessuno potrà nutrire dubbi sul fatto che il paese sia un luogo di pietà. Il “paese”. Forse lo chiamano così per rendere meno solenne la scena, o per ricordare alla gente i propri doveri parrocchiali e il formalismo di certi rapporti umani. La pietà. C’era rimasto solo questo, dopo la collera, dopo la pazzia del dolore. Quello che non t’immagini è questa forma di pietà non convenzionale, la pietà per gli assassini ignoti di una delle tante stragi della storia d’Italia.

Brescia viene ultima dopo ogni nefandezza. Da ieri tutti assolti, nessun colpevole. Da che sono venuto al mondo, tutto ha macchinato intorno a me perche si adottasse un modo solo in questo paese: sempre cambiare discorso per non affrontare la verità. E sono trent’anni, quarant’anni, che si cambia discorso, che la scuola e la televisione rincoglioniscono gli uomini e i bambini, che le mafie prosperano e i giudici assolvono, che i cospiratori sussurrano, e i morti sbiadiscono. Qualche magistrato più coraggioso in passato ha parlato di un patto indicibile tra le istituzioni e quelle forme di terrorismo politico e mafioso che hanno insanguinato l’Italia a più riprese, qui di indicibile è rimasto solo lo squallore della menzogna, visto che ogni sentenza sulle stragi italiane “dice” eccome di quel patto.

Gian Paolo Zorzi, il giudice istruttore dell’inchiesta bis sulla strage di Brescia, per esempio, che a proposito dei continui intralci di provenienza istituzionale che paralizzarono le indagini fin dalla prima ora, scrisse: “nel meccanismo si iscrive qualcosa di fortemente ‘anomalo’: un qualcosa che fa letteralmente venire i brividi (soprattutto di rabbia) in quanto si propone quale riprova (se mai ve ne fosse bisogno) dell’esistenza e costante operatività di una rete di protezione pronta a scattare in qualunque momento e in qualunque luogo.

Per i periti in piazza della Loggia fu usato tritolo, un esplosivo che fa una fumata nera, ma tutti i testimoni ricordano di un fumo azzurrino, biancastro. Il fumo che si levava lento nella pioggia del 28 maggio, il fumo che avrebbe confuso tutto per trentasei anni. Allora la bomba di piazza della Loggia l’ha messa il Diavolo, quello con la coda e col forcone. O quello delle credenze islamiche, nel Corano c’è scritto che Dio creò il Diavolo dal fuoco senza fumo. Se non c’è fumo non c’è fuoco, e quindi il Diavolo arriverà a dirci che non c’è stata nemmeno la bomba, che le otto vittime (Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi Milani, Euplo Natali, Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti, Alberto Trebeschi, Clementina Calzari Trebeschi, Vittorio Zambarda), cinque insegnanti, due pensionati e un armaiolo, in realtà non sono mai morte, perché il Diavolo non ha altro potere se non quello di gettare suggestioni malvagie nel cuore degli uomini.

Nessun colpevole per la strage di Brescia

Quel giorno, il 28 maggio 1974, in piazza della Loggia c'era una manifestazione contro il terrorismo neofascista. L'avevano organizzata i sindacati, il comitato antifascista, c'erano Franco Castrezzati della Cisl, il segretario della Camera del lavoro locale Gianni Panella e Adelio Terraroli del Partito Comunista Italiano. Esplose una bomba in un cestino della spazzatura. Morirono 8 persone, i feriti furono 102 e oggi a Brescia tutti gli imputati sono stati assolti con la formula dell'insufficienza di prove. Parenti delle vittime in aula hanno gridato “vergogna”.

Dunque la strage rimane impunita. Anche il terzo processo non ha individuato i colpevoli. La corte di assise di Brescia, presieduta da Enrico Fischetti, ha assolto i cinque imputati Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino e Pino Rauti “per non aver commesso il fatto”. La sentenza si basa sull'insufficienza di prove. Revocata la misura cautelare nei confronti di Delfo Zorzi, ex esponente di Ordine Nuovo, che vive in Giappone.

L'inchiesta era cominciata nel 1993. La procura aveva chiesto l'ergastolo per Zorzi e Maggi (anche lui di Ordine nuovo), per il collaboratore dei servizi segreti Tramonte e per il generale dei carabinieri Delfino. Per l'ex segretario dell'Msi Rauti la procura aveva chiesto l'assoluzione.

I COMMENTI: SENTENZA E' INSULTO ALLE VITTIME
«Provo un sentimento di impotenza perché la città voleva due cose: verità e giustizia – commenta il sindaco di Brescia, Adriano Paroli - ma non si è riusciti a raggiungerle. La città continuerà comunque a cercare verità e giustizia». Amareggiato e indignato è Paolo Corsini, deputato del Pd, già sindaco della città lombarda: «Sgomento e sconcerto per una sentenza che, va detto con chiarezza, pone fine alla vicenda giudiziaria. È un insulto irreparabile a quanti quella mattina sono caduti in piazza, ai loro familiari, un'offesa che umilia la città e rischia di spegnere un ansia di verità e giustizia che la ricerca storica e il giudizio politico hanno invece da tempo appagato».

16 novembre 2010
 

martedì 16 novembre 2010

Niente fuori posto

 

Niente fuori posto

come si addice alla morte.

In un angolo
Con garze dorate
riparo  la nera ferita.
Piangerei se la cenere
Non mi arrivasse agli occhi.
È ciò che mi ha impedito di vedere.
Ora so il tuo dolore perché è il mio
in questo esilio
intrico di passaggi.
Incalcolabile  tempo
Breve come un sospiro.
Annego la mia vita
nel fondo di un acquario.
Come vorrei respirarti ancora
 
Daniela Frascati

XY di Sandro Veronesi

XY di Sandro Veronesi
recensione di Andrea Carraro -  Il Messaggero 15 nov.



Lo abbiamo già detto in altre occasioni: Sandro Veronesi è uno dei più validi narratori che calcano la nostra scena letteraria. Ce lo dimostra ampiamente quest’ultimo libro che ha appena pubblicato: XY (Fandango pp. 394, 19,50 euro), nel quale l’autore toscano maneggia una materia filosoficamente ardua (intrisa di assurdità e follia) e narrativamente sdrucciolevole per l’affastellarsi di personaggi e situazioni, senza mai cedere all’ovvio, al banale, al già detto. Massimo Onofri su Avvenire, recensendo il libro, arriva ad affermare  che “Veronesi è il Re Mida del romanzo italiano. Tutto quello che tocca diventa racconto a 24 carati”.  Dopodiché sgombra il campo dalla sin troppo ovvia ascendenza Kinghiana che potrebbero suggerire di primo acchito la storia e l’ambientazione: qui non si cerca di sciogliere la trama in un meccanismo purchessia di fiction, così depotenziandola dalle sue coordinate metafisiche. Qui l’orrore e il Male non si sciolgono mai, non trovano alcun riscatto spettacolare o horror, ma danno vita a “un’ardita e struggente meditazione – scrive ancora il critico viterbese - sulla possibilità del miracolo nel tempo del silenzio di Dio”. Ma andiamo con ordine. XY racconta di un paese montano di una quarantina d’anime, San Giuda, improvvisamente sconvolto da una strage, che avviene nei pressi di un albero, il quale appare agli sgomenti visitatori completamente ghiacciato e rosso di sangue. Le vittime sono una decina, tutte uccise in modi diversi e imprevedibilmente dissociati: chi soffocata da una crosta di pane in gola, chi barbaramente assassinata dopo sevizie, chi suicida con un colpo di pistola alla tempia, chi, addirittura, uccisa dall’attacco di uno squalo estinto da più di 2 secoli ecc. Ci sono due punti di vista: quello del sacerdote del paese, don Ermete, e quello di una psichiatra, Giovanna Cassion, a cui avviene un fatto altrettanto inspiegabile scientificamente della strage, e cioè la riapertura di una cicatrice provocata tanti anni prima dall’involontario taglio di un coltello da cucina. Svegliandosi la donna in un lago di sangue, e non sapendo darsi alcuna spiegazione razionale a quella ferita sanguinante, dopo aver consultato invano un medico, prende la decisione repentina di mollare tutto (casa, lavoro, compagno, genitori)  e seguire lo stringente appello di don Ermete di accorrere in soccorso della comunità minacciata nella sua fede e nella sua ragione. Veronesi nel libro si mostra consapevole fin troppo del fatto che la grande letteratura nasce sovente dal confronto/scontro fra razionale e irrazionale, e impiega il suon talento romanzesco non già per “spiegare” l’inspiegabile ma piuttosto per connettere, per amalgamare, per enucleare un senso più profondo al Male Assoluto che permea l’intera vicenda. In altri libri Veronesi schiaccia volentieri il pedale dell’ironia, se non propriamente del “comico”. Qui no, in XY si ride poco, perché, sembra suggerire l’autore, col Male Assoluto c’è poco da ridere.

lunedì 15 novembre 2010

"Il cimitero di Praga" di Umberto Eco, la costruzione del diverso

di Renato Minore
- ROMA (7 novembre) -


Simone Simonini, l’unico personaggio di pura invenzione, sia pure - come confessa Umberto Eco - “effetto di un collage” per cui gli vengono attribuite cose “fatte da persone diverse”, regge sulle sue spalle come Atlante quasi tutti i più clamorosi complotti dell’Ottocento, come una specie di macchina centripeta intorno a cui si addensano misfatti, persecuzioni, delitti, travestimenti d’ogni tipo. Il protagonista de Il Cimitero di Praga, sesto romanzo di Eco (Bompiani, 518 pagine, 19,50 euro) è infatti una pasta tutta particolare di gaglioffo, di falsario, di traditore, nonché impotente (con una sola, disastrata esperienza erotica) e ghiottone impenitente.

Di professione sarebbe notaio, nipote ottocentesco di un nonno reazionario, ammiratore di Augustin Barruel, uno dei più feroci oppositori dell’illuminismo e della massoneria; e da lui discende per li rami il feroce odio per ebrei e rivoluzionari, il servilismo truce e calcolatore verso ogni forma di potere. In realtà fin da giovane egli si è rivelato specialista di documenti farlocchi: dai testamenti contraffatti o inventati allo spionaggio, sistematico e prolungato, il passo è breve. Diventa così lo spregiudicato calligrafo per cui il confine tra vero e falso è una linea di fumo, disposto a tutto pur di essere servizievole nei confronti dei potenti di turno, gesuiti, repubblicani, massoni che siano, in un vertiginoso cambio di danza che abbraccia più paesi europei. Simonini comincia i suoi servigi con il re di Sardegna, come una spina nel fianco della spedizione dei Mille in Sicilia dove, fin troppo zelante, progetta e realizza la scomparsa in mare di Nievo, che porta le carte compromettenti dell’impresa garibaldina, e con un attentato davvero all’avanguardia per la tecnica esplosiva messa in azione. Nella sua febbre di falsi da vendere al numero più alto di acquirenti, Simonini non esita a diventare pluriomicida, passando per oscure cloache e riti satanici. Mette il malefico zampino nell’affare antisemita che porta alla persecuzione nei confronti di Dreyfus in Francia, quella contro cui si schiera Zola. Sta in prima linea contro i comunardi nella Parigi del 1871 dove si mangiano i topi tra le barricate, al momento opportuno transloca al servizio dell’occhiuto e temibile spionaggio dello Zar, fino ad essere coinvolto in un attentato “dimostrativo” che (forse) spezzerà per sempre la sua corsa folle di intrighi e tripli giochi in cui gli è capitato pure di incrociare il detestato cocainomane Freud, “il dottor Froide” o una mistica Suor Teresa, carmelitana di Lisieux.

Insomma una vita davvero esemplare, da santino del male, di falsario e spia internazionale che si muove tra i personaggi più discutibili del secolo come il massone traditore (poi pentito) Taxil e il prete fondatore della setta satanica Boullan. Nel tapis roulant delle peregrinazioni di Simonini, Eco porta nel cuore pulsante di complotti, plagi, raggiri di tutte le nature, ne mostra il meccanismo e la costruzione mentre le carte si rovesciano in ogni istante e tutti finiscono per essere ebrei o antisemiti. Ci porta, soprattutto, nel maelström di irrazionalità su cui si fonda la storia moderna, in quella sorta di piattaforma teorica di estrema falsificazione su cui si è alimentato l’orrore dello sterminio nel Novecento. Il capolavoro di Simonini, quello che negli anni gli sarà chiesto di replicare e di perfezionare a seconda del committente, sarà la narrazione del falso di tutti i falsi, estratto in parte dai romanzi d’appendice di Dumas, secondo l’interpretazione semiofilologica di Eco. E cioè la cospirazione notturna dei rabbini, il piano per dominare il mondo steso fra le lapidi del cimitero israelitico di Praga che, nel tempo, darà linfa ai Protocolli dei Savi Anziani di Sion, la madre di ogni pamphlet antisemita: quel testo che, benché reputato apocrifo, ha dominato per decenni la propaganda con la “novità” della figura dell’ebreo discriminato e reietto, trasformato nell’essere demoniaco dominatore nella finanza internazionale, sovversivo per natura e vocazione.

Ha detto Eco in una intervista: “Chi è il nemico? Il diverso. Ma mentre gli altri diversi, i catari, gli albigesi, sono scomparsi e massacrati, la tradizione ebraica, grazie alla forza della sua cultura, ha resistito un po’ dovunque. E l’ebreo è diventato il diverso per eccellenza”. Già nel Pendolo di Foucault lo scrittore aveva messo in scena l’ossessione del complotto e in Baudolino aveva dato vita a un piccolo (ma delizioso) furfante che annega nelle sue menzogne, per altro assai inventive. Nel Cimitero di Praga la storia del complotto e quella del falsario geniale (e in questo caso malefico) si fondono nell’incalzare dei colpi di scena che ricostruiscono la tabe cospirazionista. E la ricostruiscono anche grazie alle stampe d’epoca che, in un romanzo anche straordinariamente figurato, prolungano la sospensione dell’incredulità della lettura, delineando figure, ambienti, strereotipi narrativi. E tutto nel flusso di una narrazione dove essenziale non è il rapporto tra la storia e la sua verosimiglianza, ma il camuffamento della storia in veste di feuilleton. Ma senza la gioia dichiarata di mettersi dalla parte dei buoni e di esecrare le malefatte dei cattivi, come in ogni buon romanzo d’appendice, ma in un amalgama cupo e mozzafiato che al culmine, tra i tanti misteri schiusi in una serie di racconti sommersi dentro il filo rosso delle avventure di Simonini, giunge alla discriminazione e alla persecuzione. Effetto davvero perverso della sistematica falsificazione degli eventi e del loro trasformarsi in micidiali oggetti d’odio perenne, di cui Il Cimitero di Praga stila un allucinato repertorio di pensieri, personaggi, ambienti, ognuno inverato da un documento o da una citazione e tutti ruotanti intorno a quel vuoto pienissimo (come Malebranche raffigura il male) in cui consiste il notaio sabaudo, capitano, monsieur Simonini.


LA FATA


Attraversata da smagliature e da rammendi,
Pratica  di disamore e di rimandi
Attratta dalle croste e dai frammenti  
Volle entrare nel mondo degli incanti.

Dipinta di cinabro e di calcina
Fata impazzita, fata ghigliottina.
Cancellava le favole
Devastava le nuvole
Percuoteva  le natiche
Benediva le prefiche
Sospendeva le prediche
Flagellava le sadiche
Consolava le ciniche
In segrete stanze amniotiche.

Daniela Frascati

domenica 14 novembre 2010

Città dell’illusione

Città dell’illusione,
prigione di bestemmie liriche e di frumento calante.
Sprofondo nella moltitudine cieca della tua gente
cullata  dal presagio sonnolento dell’aldilà.
Satana ha costruito un trono d’avorio e carne
E senza vento la sera mi guarda fredda e immensa.
Dentro specchi incrinati
guerrieri immortali invocano un riflesso di fiamma
e carta insonne brucia dentro romanzi senza radici quotidiane.
Sopra tombe di granito nero vedove incompiute
distillano strascichi di vita
e dentro periferie ingrottate branchi di cani
mordono  l’impurità terribile della loro solitudine.
Nella notte dell’anima
creature  rapaci sottomesse alla morte
sfidano angeli smarriti e mostri necessari.
Nella trama del tempo una memoria interminabile m’accompagna.
Cento lunghi anni mi ascolterò
raccontarmi favole di biondi cavalieri erranti
per non udire l’inumano canto di fumo e di cieli agonizzanti.
La tua musica di fucili pazzi e  di cattedrali ubriache.
E scuoterò i tuoi grattacieli con le mie mani nude
e denuncerò la congiura di un millenario omicidio all’animo perfetto della natura
e a ferro e a fuoco canterò la tua distruzione
città di merda
dentro le orbite incredule delle chitarre sonnolente.

Daniela Frascati