amorino alato

amorino alato
C’era in lei, tuttavia, un angolo segreto dove non arrivava il riverbero di nessuna luce. Da lì veniva quella voglia di tenere a bada il corpo e la materia che gli dava forma; lì fluttuavano profumi intensi e dolcissimi, e fruscinìo di sete leggere e il seno bianchissimo di Rosa la Parda. Lì, coltivava il giardino di un’altra vita che ogni tanto, a occhi chiusi o nel sonno, andava a visitare.(Amore Anomalo - daniela frascati)

mercoledì 2 marzo 2011

Dignità delle donne? Se ne può fare a meno di Elettra Deiana

Dignità delle donne? Se ne può fare a meno  
  
di Elettra Deiana  *articolo apparso sul settimanale Gli Altri                        

Dalla manifestazione del 13 febbraio, con la sua forza, fantasia, carico di inquietudini e di indignazione femminile per lo stato del nostro Paese, alla devozione patriottica per i 150 anni dell’Unità d’Italia: questo oggi è il richiamo alle donne che viene dalle organizzatrici di “Se non ora, quando?”. Una torsione indigesta, che porta alla luce e svela le ambiguità di fondo che già c’erano nei modi di costruzione e di rappresentazione sulle piazze dell’evento e in quell’ossessivo richiamo alla dignità femminile offesa che è stato in queste settimane il leit motiv dominante della campagna.
Dignità delle donne e nazione? Bisogna parlarne, allora.
Di dignità offesa, disonorata, trasgredita, rifiutata, le donne sono morte e muoiono ancora per mano maschile. Succede spesso soprattutto in altri mondi ma talvolta ancora nel nostro, e non solo per il fatto che nel nostro ci sono anche altri mondi.
E dunque di che parliamo quando parliamo di dignità delle donne?
“Vogliamo un Paese che rispetti la dignità delle donne”: questo lo slogan, l’appello, la dichiarazione di intenti che ha dato vita all’ondata di mobilitazioni femminili del 13 febbraio e che, all’indomani di quella giornata, pare consolidarsi, stando alle dichiarazioni delle promotrici, nell’azione di un comitato permanente sulla stessa lunghezza d’onda.
Ma in che cosa consiste la “dignità delle donne”? E che cosa si intende con l’espressione “Un Paese che rispetti la dignità delle donne”? E, soprattutto, da che punto di vista dovrebbe dipanarsi il metro di giudizio sull’osservanza di tale obbligo?
Materia, questa del punto di vista, ostica come poche e anche, se solo ci si pensasse su, difficile da accettare perché l’idea che possa esserci una dignità delle donne “in quanto donne” contiene l’antico vizio di riproporre la parte femminile della società – le donne appunto - come un corpo fusionale, un tutt’uno indifferenziato, dove la reciprocità del rispecchiamento tra simili discende da quell’indistinto e insopportabile “in quanto donne”, che ci fa di nuovo corpo indifferenziato, a disposizione di qualcosa, secondo il peggiore retaggio del patriarcato che fu. Questa volta, a disposizione del riscatto del Paese, che Berlusconi offende nella sua dignità, e anche, passaggio dopo passaggio, a disposizione della rivisitazione patriottica della Nazione, il cui anniversario la scompaginata maggioranza al governo non è in grado, per evidenti ragioni, di celebrare adeguatamente e molte esponenti del centrosinistra sono invece pronte ad accogliere e festeggiare. In quanto donne che difendono la propria dignità e dunque quella del Paese? Evidentemente sì. Il corpo delle donne e la Nazione pensate insieme? La dignità delle prime specchio della dignità nazionale? Si può fare, direbbe qualcuno di quell’area politica.
Il ritornello dell’offesa alla dignità delle donne è stato ripetuto in queste settimane fino allo stordimento mediatico ed è stato scritto in tutte le salse, come se la giostra sessuale messa in scena dal premier potesse essere condensata una volta per tutte in quello slogan, rappresentata nella forma di un’offesa diretta al corpo delle donne e amen. E come se le pimpanti ragazze di vita di villa Arcore, prestandosi al mercimonio, coinvolgessero tutte le donne e tutte le donne dovessero fare gloriosa falange contro l’obbrobrio. Uno scatto di dignità femminile e anche la dignità della Nazione è salva: questo è il messaggio.
Ma la materia chiamata “dignità delle donne” è ardua da trattare ed equivoca da dirimere, e anche rischiosa, per la forte suggestione regressiva che contiene.
 E’ materia ardua perché per una trafila infinita di stagioni della storia umana la dignità delle donne è stata iscritta in codici e registri redatti dagli uomini, pensata in funzione della dignità dei maschi, dei loro codici di onore e di rispettabilità sociale. E del loro immaginario virile, della loro modalità di trascendenza simbolica, del loro potere sulle donne. Il corpo delle donne è stato sempre sezionato, funzionalizzato, rappresentato secondo l’idea del mondo e delle relazione umane che gli uomini si erano fatti e che avevano imposto alle donne. La verginità del corpo femminile, affinché un uomo ne prendesse possesso, sicuro che altri non l’avessero violato; e l’obbligo della pudicizia dei comportamenti femminili per preservare quel possesso; e l’esistenza di una vita femminile racchiusa nello spazio domestico della casa e sotto protezione e tutela dell’uomo, a definire e rappresentare il luogo del dominio maschile di fronte alla società; e i figli “da” e “di” quell’uomo a sigillo e conferma della discendenza maschile e, per le donne, del senso e del valor sociale del proprio corpo, altrimenti, se sterile, svilito: la dignità della donna era disegnata entro queste rigide e claustrofobiche coordinate che separavano lo spazio invalicabile tra ciò che era degno e ciò che non era degno. Sante o puttane, spose o amanti e concubine, dame o avventuriere e via discorrendo.
E tutto questo non secoli fa.
In Italia ci siamo portate appresso, fino all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, il delitto d’onore e fino alla metà dello stesso decennio un codice del diritto di famiglia che imponeva l’obbligo dell’obbedienza al capofamiglia da parte della moglie e dei figli. Per non parlare, fino alla fine degli anni Ottanta, della violenza sessuale ascritta a reato contro la morale della famiglia e l’onore del maschio.
Si è prodotto in queste settimane come un corto circuito tra la nozione di donne e quella di Nazione; un insano, deleterio connubio che ha fatto capolino in molti discorsi pubblici femminili, prima e dopo il 13 febbraio. Corpo delle donne e Patria, un fondamentale abbinamento della tradizione patriarcale che è stato (ed è ancora) fondativo e performativo di tutte le destre, in particolari quelle estreme, e che viene inopinatamente rimesso a nuovo oggi da un’altra parte politica.
E così tra la manifestazione del 13 febbraio e le celebrazioni indette per i 150 anni (prossimo 17 marzo) si è prodotto un indigeribile messaggio patriottico, che accomuna donne e Nazione sotto il segno della dignità da difendere. Non si capisce se siamo di fronte a una totale perdita delle memoria politica oppure a una mossa politica per occupare uno spazio – quello dell’anniversario dei 150 dell’Unità nazionale - che la maggioranza o lascia scoperto o malamente gestisce. Ancora una volta entrano in scena donne impegnate in una politica a latere, che si prendono cura dei deficit della propria parte politica ma non aprono certo nuovi spazi di protagonismo femminile. Anzi il rischio è che contribuiscano a farli regredire.
La Nazione ha storicamente a che fare con le donne, questo è ovvio. Anche la nazione italiana, come la storia insegna. Ma la Nazione è intrinsecamente nemica della libertà delle donne. Anche questo la storia l’insegna. Dignitose e obbedienti, come i codici prescrivevano, prima che le donne prendessero la politica nelle proprie mani e cambiassero le cose. Indecorosamente libere.
Meglio ricordarlo

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